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Copenhagen: il regno degli spostamenti in bici
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La mobilità immobile
I dati su come si muovono auto, bici e mezzi publici nelle nostre città e all'estero
dal Corriere della Sera (http://www.corriere.it/cronache/11_aprile_05/la-mobilita-immobile-bicicletta_e7de3c36-5f71-11e0-a9b0-e35a83b9ad3b.shtml#.Tm-0qoqM7FY.facebook)
(http://xoomer.virgilio.it/abruzzoinbici/corridoioverdeadriatico/giulianova/pista%20ciclabile%20Giulianova%20nord%2003.JPG)
Se pensiamo alla bicicletta come a un mezzo di trasporto, qualsiasi ragionamento sulle due ruote non può che partire da un?analisi, anche veloce, della mobilità. Ossia dell?attuale immobilità della mobilità urbana. Il traffico è sempre più congestionato da un parco macchine che non ha pari in Europa, il trasporto pubblico è scarsamente attrattivo (gli abitanti dei capoluoghi, in media, fanno solo un viaggio e mezzo a settimana su autobus, tram e metropolitane), le isole pedonali sono praticamente immutate da un anno all?altro (0,35 mq per abitante), le zone a traffico limitato si sono rimpicciolite (da 2,38 mq per abitante dello scorso anno ai 2,08 attuali). E oramai nelle grandi città si passano (o meglio si buttano) due settimane all?anno in automobile a una velocità media che non supera mai i 25 chilometri orari.
Nonostante la situazione della mobilità sia in costante peggioramento, le contromisure prese dalle amministrazioni locali sono in massima parte insignificanti, quando non addirittura assenti. Si segnalano assai raramente interventi positivi (la riorganizzazione della mobilità a Bolzano a favore di pedoni e bici o le zone a traffico limitato senesi) o abbozzi di azioni significative, come l?Ecopass milanese che si è però fermato allo stato embrionale. Per il resto è il nulla. Anche la stragrande maggioranza dei cittadini sembra nuovamente assuefatta a smog, rumore, perdite di tempo. Sopporta remissiva l?abituale coda. Non vede nel trasporto pubblico un mezzo capace di garantire la flessibilità e la libertà di movimento dell?automobile. Non considera (almeno sulle brevi distanze) piedi e pedali una valida alternativa. Subisce come un male necessario quell?ora e passa che si perde negli spostamenti quotidiani e la lentezza con cui ci si muove. Di seguito una serie di dati sulla "mobilità" urbana, in Italia e all'estero, che forse possono aiutare a fare qualche riflessione su un modello che non funziona.
CONFRONTO CON L'EUROPA - In molte città europee ci si sta muovendo sui due fronti che consentono una mobilità più spedita, più pulita, più sicura, più attenta alla qualità della vita e dell?ambiente: il contenimento della domanda di trasporto individuale motorizzato e l?incentivo a forme di trasporto diverse dall?auto privata, favorendo i mezzi collettivi, elettrici e su rotaia, i trasporti a propulsione umana (bici, piedi) e lasciando alle macchine solo quegli spostamenti che non sono proprio realizzabili con altri veicoli, spingendo però su formule on demand o sul pay per use come il taxi, il noleggio o il car-sharing, il car-pooling. Nel nostro Paese, a dispetto di centri storici a misura di carrozza più che di Suv, c?è uno dei più alti indici di motorizzazione al mondo, che continua peraltro a crescere senza sosta: eravamo a 501 autovetture ogni 1.000 abitanti nel 1991, siamo a oltre 600 oggi. In tutto il mondo ci superano solo Stati Uniti (760), Lussemburgo (659), Malesia (640) e Australia (610), mentre la media Europea dei 27 Paesi dell?Unione si attesta a 463, con molte nazioni, non certo più povere della nostra, che hanno meno auto procapite: 463 ogni 1.000 abitanti nel Regno Unito, 429 in Olanda, 354 in Danimarca. Il dato del parco auto in circolazione è ancora più sconcertante se si restringe lo sguardo alle città: a New York ci sono 20 auto ogni 100 abitanti, a Tokio 27, a Londra 36, a Barcellona 41, a Parigi 45, a Los Angeles 57, a San Francisco 64. Nel comune di Roma, invece, sono 76!
L'INGOMBRO DELLE AUTO - Una semplice operazione matematica spiega bene l?insostenibilità della mobilità su quattro ruote: 2x5. Cos?è questa moltiplicazione? E? l?ingombro di un posto auto, che misura appunto 2x5 metri, ossia 10 mq. Ciò vuol dire, per esempio, che in una città come Milano per far posto alle 800mila auto che arrivano ogni giorno da fuori più le 820mila auto di proprietà dei residenti, si sacrificano alla sosta oltre 16 milioni di mq, 2250 campi da calcio, quasi il 10% del territorio cittadino. Spazio destinato ad abitacoli privati che rimangono fermi e inutilizzati per il 90% del tempo. E aumentare strade e parcheggi, come ormai è dimostrato, vuol dire solo attrarre più traffico.
OLTRE LA PISTA CICLABILE - Per la mobilità a pedali, l?infrastruttura principale è la pista ciclabile. Sono stati di recenti annunciati 12,5 km in più a Roma e 30 km a Milano (in entrambi i casi ancora da cantierare e chissà quando utilizzabili), 1,8 km in più a Bari. Gli spazi adibiti all?uso esclusivo dei ciclisti urbani, in sostanza, sono pochi, si sviluppano lentamente, mostrano la loro modestissima entità quando si azzarda un confronto con i mezzi a motore. Anche se c?è qualche località dove chi pedala può stare al passo degli automobilisti (a Padova, ad esempio, ci sono 133,2 km di ciclabile ogni 100 km2 e 286 km di viabilità per le auto) nel loro insieme i comuni capoluogo offrono 13,3 km di ciclabili per 100 km2 di superficie comunale, contro i 222 su cui può scorrazzare chi sta al volante .
La Capitale ha 4.800 chilometri di strade municipali e 123 chilometri di ciclabili. Aggiungendo una dozzina di chilometri pedalabili all?anno le due ruote avrebbero una rete viaria analoga a quella delle quattro ruote a motore soltanto dopo il 2410. La logica fino a oggi alla base della crescita della viabilità riservata alle biciclette è stata nella stragrande maggioranza dei casi propagandistica e quasi mai ha lavorato per trasformare questo veicolo in un mezzo di trasporto a tutti gli effetti. Tra il 2000 e oggi l?estensione delle piste ciclabili urbane italiane è triplicata, passando da 1.000 a 3.227 chilometri. Tuttavia nello stesso periodo la percentuale di spostamenti urbani in bicicletta - calcolata sul totale degli spostamenti - è rimasta identica: era il 3,8% nel 2000, è il 3,8% adesso. Insomma la realizzazione di infrastrutture dedicate, da sola, non produce particolari effetti positivi sulla mobilità leggera. Tant?è che in Italia alcune delle città dove si pedala di più (Bolzano, Parma, Ferrara?) non necessariamente sono quelle dove ci sono più ciclabili. Attenzione però. Quanto detto finora non vuole essere affatto un de profundis della ciclabile. Piuttosto si tratta di cominciare a fare una netta distinzione tra la stragrande maggioranza delle ciclabili urbane realizzate finora (scoordinate tra loro, inadeguate per le esigenze quotidiane degli abitanti o al più concepite con finalità ricreative) ponendo le basi affinché questa infrastruttura sia pensata e realizzata all?interno di piani complessivi della mobilità, che puntino a favorire il movimento a piedi, in bici o col trasporto pubblico e scoraggino invece l?uso dell?auto privata. In estrema sintesi: le ciclabili sono necessarie sui grandi assi urbani di scorrimento, dove effettivamente la convivenza tra auto e bici è difficile (e anche pericolosa per la categoria meno protetta da carrozzerie e airbag), mentre tutta la viabilità secondaria deve avere caratteristiche tali da rendere possibile una coabitazione di mezzi diversi: piedi, pedali, motori.
PERCHE' SI USA LA BICI - Un sondaggio realizzato da Isfort nel 2007 sottolinea infatti che le motivazioni che spingono i frequent biker urbani a preferire la bicicletta, nell?ordine, sono queste: evita traffico e code (29,3%); fa bene alla salute (29,1%); è il miglior mezzo per trascorrere il tempo libero (19,2%); è una modalità di trasporto economica (11,6%); riduce l?inquinamento (10,9%). Tanti di quelli che oggi non usano la bicicletta, viene sempre evidenziato dalle risposte al sondaggio Isfort, a determinate condizioni ci salirebbero su molto volentieri. Il 26,3% degli italiani lo farebbe a patto di poter disporre di una vera rete di percorsi ciclabili che attraversa le città; il 15,6% se ci fosse meno traffico e quindi una maggiore sicurezza per la viabilità ciclistica; un 13,7% se fosse meno scomodo a causa delle lunghe distanze da percorrere.
LA BICICLETTA IN ITALIA - Fino a non molti anni fa, prima di essere rimpiazzata da un ingorgo pressoché costante, la bicicletta era il mezzo di trasporto urbano per eccellenza. In Italia si pedala ancora moltissimo, ma per sport e non per soddisfare l?esigenza di mobilità. Lo dimostrano, indirettamente, i numeri del parco circolante: nel nostro Paese ci sono circa 30 milioni di biciclette. In numeri assoluti siamo sesti al mondo, dopo Cina (450 milioni), Usa (100 milioni), Giappone (75 milioni), Germania e India (63 milioni). Ma nel traffico questa massa di manubri e catene (che pure non è lontana dal numero di 35 milioni di autoveicoli) non si vede. La capacità di riconquistare le strade alla ciclopedonalità, anche in comuni che sembrano essersi completamente convertiti agli spostamenti motorizzati, appare senza dubbio possibile quando si fa un giro nelle città dei Paesi Bassi o della Danimarca o - rimanendo in Italia - dell?Emilia Romagna. Il fatto che alcune regioni siano più pedalabili di altre non deriva certo dalle condizioni meteo, dall?orografia e nemmeno da una più spiccata predisposizione culturale della popolazione. L?abitudine alla mobilità ecologica deriva, molto più semplicemente, dalle scelte della politica locale. Anche per consentire all?automobile di tornare in possesso delle sue qualità, c?è bisogno di meno automobili. In Europa il 30% dei tragitti in automobile è più corto di 3 km e il 50% è inferiore a 5 km. Gli italiani, quotidianamente, effettuano 5 milioni di spostamenti in auto solo per accompagnare a scuola i figli, sebbene l?86% delle famiglie abiti a non più di un quarto d?ora a piedi da asilo, elementari, medie o superiori (in Gran Bretagna il programma bike it per la promozione della bicicletta come mezzo per raggiungere la scuola ha fatto salire in un solo anno il numero degli studenti che si spostano in bici dal 10% al 27%). Sempre nel nostro Paese gli spostamenti motorizzati nel raggio di 2 chilometri sono il 30,8% del totale, quelli tra 2 e 5 chilometri (sono il 22%), quelli tra 5 e 10 chilometri sono il 20,6%. Insomma, in oltre il 50% dei casi, una macchina non percorre tragitti superiori ai 5 chilometri. Su queste distanze le biciclette (come anche i piedi e il trasporto pubblico) sono assolutamente concorrenziali.