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Autore Topic: demotorizzazione (sorpasso vendite bici su auto)  (Letto 84024 volte)

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demotorizzazione (sorpasso vendite bici su auto)
« Risposta #90 il: Febbraio 24, 2013, 11:44:58 pm »
[Treviso] Sul Put 6 mila auto in meno E aumentano bici e pedoni

Sempre meno auto lungo il Put. Erano 34.518 al giorno nel 2005, nel 2011 sono state 29.280. In sei anni, oltre 6 mila auto in meno al giorno, oltre 250 all’ora: considerando le ore di punta, quasi 7-800 veicoli in meno lungo l’anello esterno.
Effetto dell caro benzina? Secondo l’ufficio Mobilità del Comune, diretto da Michela Mingardo, che ha presentato il dossier alla giunta, la diminuzione del traffico comincia prima della crisi: è il risultato dei miglioramenti viari alla grande viabilità del capoluogo, ovvero la realizzazione dei cavalcavia di Silea e dell’ospedale (fra 2005 e 2006) e poi il cavalcavia della Noalese. Ma il più recente contributo alla diminuzione del traffico è giunto dalla formula pedibus per gli alunni delle scuole primarie e dal bike sharing. Certo, adesso è arrivato anche il caro benzina...
In 10 anni, peraltro, cala del 10% anche l’uso di veicoli a motore negli spostamenti casa lavoro o casa scuola nel comune. Nel 1991 usava l’auto privata il 66%, nel 2001 il 62,79%, oggi il 54,27%. Ed è sceso il numero di chi guida un veicolo a motore, nel 2011. Ma non cresce nemmeno l’uso del trasporto pubblico: stabile fra 8 e 9 per cento, fra 2001 e 2011. Invece, viva la bici e il sano camminare: lo faceva il 34,96% dei pendolari nel 2001l, oggi il 45,44%. La città è più ecologica.

fonte: http://tribunatreviso.gelocal.it/cronaca/2013/02/22/news/sul-put-6-mila-auto-in-meno-e-aumentano-bici-e-pedoni-1.6583693
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« Risposta #91 il: Marzo 08, 2013, 10:27:08 am »
[Svizzera] Le vendite di bici superano quelle delle auto



Gli svizzeri hanno consolidato la propria passione per la bicicletta, trasformando il rappresentante numero uno della mobilità dolce in uno dei loro mezzi di trasporto preferiti. Una preferenza  così decisa d’aver fatto sì che, nel 2012, le vendite di bici elettriche, city bike e quelle da corsa superassero addirittura il numero di nuove auto immatricolate: 348.600 due ruote contro le 328.139 automobili.
 
I dati appartengono a Velosuisse, l’associazione che rappresenta i fornitori elvetici di biciclette e che nella sua statistica annuale mostra i trend di crescita del parco svizzero delle due ruote. “Sia per i loro spostamenti quotidiani o che nel tempo libero, gli svizzeri utilizzano la bici per mantenersi in forma, muoversi, fare shopping”, spiega l’associazione fornendo i dati per ogni tipologia di prodotto. Nel dettaglio nel 2012 si è registrato un incremento per le e-bike (+6,7%) per 52.900 nuove unità e le mountain bike (+2,7%) con 128.000 unità, mentre sono calate le vendite di biciclette da città (-5,8% – 95.800 unità) e quelle da corsa (-3,7% – 16.300 unità).

fonte: http://www.rinnovabili.it/mobilita/svizzera-le-vendite-di-bici-superano-quelle-delle-auto600/
Lorenzo - Tern Link P9

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« Risposta #92 il: Maggio 08, 2013, 05:20:57 pm »
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Avevamo assistito nel 2012 al sorpasso storico della vendita di biciclette rispetto alle auto riferito all'anno 2011 (http://www.bicipieghevoli.net/index.php?topic=2792), un nuovo dato del 2012 conferma il trend:


La vendita delle bici sorpassa quella delle auto nel 2012



Oltre 1,6 milioni le biciclette vendute in Italia nel 2012, circa 1,4 milioni le auto: il sorpasso era già avvenuto lo scorso anno e il 2012, complice anche il perdurare della crisi economica, ha confermato la tendenza nonostante la battuta d'arresto subita dal mercato delle due ruote a pedali. Nel 2012 si sono vendute infatti in Italia 1,75 milioni di biciclette in meno rispetto al 2011 (-8,2%) e la produzione è calata del 9,8%, vale a dire 2,19 milioni di bici in meno.

In parallelo, sono aumentate però le esportazioni di parti di biciclette, generalmente pezzi di alta qualità per il mercato professionistico: il fatturato ha raggiunto i 463 milioni di euro, per una crescita del 15%. L'import di parti di biciclette (per lo più pezzi di basso valore) secondo i dati forniti da Confindustria Ancma ha totalizzato nel 2012 302 milioni di euro, registrando un incremento del 9% sul 2011. Nel complesso la bilancia commerciale del settore è risultata in attivo per 161 milioni di euro (+4,5% rispetto all'anno precedente).

Nel complesso delle vendite, city bike e biciclette tradizionali hanno rappresentato insieme il 42% del mercato, superando le mountain bike (30%); stabili le bici da bambino (18%) e i prodotti da corsa (7%). In crescita la fetta occupata dalle biciclette a pedalata assistita (+9,5%), in espansione soprattutto nelle grandi città; di nicchia ma in crescita anche le bici pieghevoli, con circa 20 mila pezzi venduti ogni anno.

A livello geografico, si pedala di più nel Nord Est, dove sono state vendute oltre 532 mila biciclette tra gli 11,6 milioni di abitanti, anche grazie a una rete più estesa di piste ciclabili; più indietro il Nord Ovest, con 425 mila bici spalmate su oltre 16,1 milioni di abitanti. Tra il Sud Italia e le isole, zona che risulta apprezzare più di altre le due ruote a pedalata assistita, sono state vendute nel 2012 414 mila biciclette; solo 234 mila, invece, al centro.

Piste ciclabili la priorità secondo il 63% degli amanti della bicicletta. "Al nuovo governo chiediamo provvedimenti che vadano in questa direzione e che puntino a rendere l'Italia un Paese in linea con gli standard delle best practice europee", afferma Corrado Capelli, presidente di Confindustria Ancma. "Studi internazionali dimostrano che un euro investito in ciclabilità ne restituisce 4 o 5 alla collettività intera".

"Oggi le due ruote a pedali costituiscono una nuova mobilità - commenta Pier Francesco Caliari, direttore generale di Confindustria Ancma - c'è molto da lavorare sulle infrastrutture, non solo quelle cittadine ma soprattutto per lo sviluppo del cicloturismo, che genera ogni anno in Germania un fatturato di 9 miliardi di euro. Bicicletta e auto non sono in competizione, ma i dati rivelano che è in atto un fenomeno di costume".

Foto | http://www.democraticunderground.com/
Fonte | http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio_news.asp?id=201305071439598998&chkAgenzie=ITALIAOGGI
« Ultima modifica: Agosto 17, 2013, 06:36:00 pm by occhio.nero »
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« Risposta #93 il: Maggio 08, 2013, 10:24:53 pm »
Oltre 1,6 milioni le biciclette vendute in Italia nel 2012, circa 1,4 milioni le auto: il sorpasso era già avvenuto lo scorso anno e il 2012, complice anche il perdurare della crisi economica, ha confermato la tendenza nonostante la battuta d'arresto subita dal mercato delle due ruote a pedali. Nel 2012 si sono vendute infatti in Italia 1,75 milioni di biciclette in meno rispetto al 2011 (-8,2%) e la produzione è calata del 9,8%, vale a dire 2,19 milioni di bici in meno.
Forse sono io che sono stanco...
Se nel 2012 si sono vendute 1,6 milioni di bici, con un calo rispetto all'anno prima del 8,2%, allora vuol dire che nel 2011 si sono vendute 1,743 milioni di bici (1,743 - 8,2% = 1,6). Quindi nel 2012 si sono vendute 1.743.000 - 1.600.000 = 143.000 bici in meno rispetto al 2011, e non 1,75 milioni... ??? Penso che volesse dire 1,75 IN TUTTO, non in meno.
Mario
« Ultima modifica: Maggio 08, 2013, 10:27:25 pm by Hopton »
"La città è fatta per le persone, non per scatole di metallo". (Ayfer Baykal, assessore all'ambiente, comune di Copenhagen)
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« Risposta #94 il: Maggio 17, 2013, 07:27:08 pm »
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Meno auto, più bici: chi vince e chi perde

17.05.13
Andrea Boitani e Francesco Ramella

Domenica 12 maggio si è svolta la quarta edizione della Giornata nazionale della bicicletta. La diffusione di questo mezzo di trasporto, soprattutto nelle città, è un obiettivo largamente condiviso. Ma i benefici non sono automatici. Miglioramento della sicurezza e decongestionamento delle strade.

L’AUTO NON PAGA TUTTI I COSTI

Non vi è dubbio che, in città, solo una quota parte dei costi esterni derivanti dall’utilizzo dell’auto è internalizzata tramite l’imposizione fiscale: la conseguenza è che il livello complessivo della mobilità privata motorizzata eccede quello socialmente ottimale.
In tabella 1 si riportano alcune stime relative ai costi esterni unitari in ambito metropolitano (aree urbane con popolazione superiore a 500mila abitanti) per le due tipologie di auto che rappresentano la parte largamente maggioritaria del parco circolante: alimentazione a benzina di cilindrata inferiore a 1,4 l e alimentazione a gasolio di cilindrata inferiore ai 2,0 l. Stando a queste stime le esternalità ambientali rappresentano una percentuale modesta e in declino rispetto al totale dei costi esterni, tra i quali la congestione fa la parte del leone (dal 51 all’80 per cento dei costi esterni totali).

Tabella 1 – Costi esterni unitari [€cent/veicolo-km] e imposizione fiscale in ambito metropolitano


Fonte: elaborazione su dati Beria, Grimaldi e Ponti M. (2012), “Comparison of social and perceived marginal costs of road transport in Italy”, Economics and Policy of Energy and the Environment, Special Issue “Transport economics and the environment”, 2/2012.

IL MERCATO POTENZIALE DELLA BICICLETTA

“La bici – ha sottolineato il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando – è il simbolo della mobilità sostenibile e intelligente, fa bene all’ambiente e alla salute”. La bicicletta non inquina l’aria, non fa rumore, occupa poco spazio e quindi non congestiona. Un maggior utilizzo delle due ruote avrebbe perciò svariate ricadute positive per le città. Accanto agli innegabili benefici vi sarebbero però alcune conseguenze indesiderabili da non trascurare.
Proviamo dunque a immaginare le conseguenze di un più ampio ricorso alla bici. Usiamo come termine di paragone il caso dei Paesi Bassi dove si riscontra il più elevato utilizzo delle due ruote in ambito europeo. Gli olandesi percorrono complessivamente circa 15 miliardi di chilometri in bicicletta all’anno, equivalenti a poco meno di mille chilometri pro-capite a fronte dei 200  chilometri in Italia. Immaginiamo che nell’arco di un decennio l’uso della bicicletta nel nostro paese si porti al livello olandese e che tutti i chilometri in più percorsi con le bici siano sottratti all’auto nelle città (in realtà le due ruote competono anche, se non di più, con i mezzi pubblici): si determinerebbe una riduzione della mobilità privata dell’ordine del 7 per cento (da 11.500 a 10.700 km/anno per abitante).

GLI EFFETTI SU QUALITÀ DELL’ARIA E SICUREZZA


La riduzione della mobilità comporterebbe una riduzione dell’inquinamento atmosferico che si può stimare essere dell’ordine di un microgrammo/metro cubo di polveri sottili, ossia di entità quasi impercettibile se paragonata alla evoluzione di lungo periodo della qualità dell’aria (i dati sopra riportati evidenziano come per un’auto alimentata a gasolio il passaggio dallo standard Euro 1 a Euro 5 comporta una riduzione dell’82 per cento del costo esterno dell’inquinamento atmosferico).
Quali gli effetti per la sicurezza stradale? L’eventuale cambio modale determinerebbe sia benefici che svantaggi. Da un lato, si avrebbe un minor numero di morti e feriti fra i preesistenti pedoni, ciclisti e conducenti/passeggeri coinvolti in incidenti causati da automobili; dall’altro, aumenterebbero gli incidenti isolati, con altre biciclette o con i mezzi motorizzati (solo il 20 per cento del totale) fra i ciclisti.
Due recenti studi hanno tentato di fare un bilancio di questi due effetti giungendo a conclusioni molto simili: in presenza di una riduzione del 10 per cento del traffico automobilistico, il numero complessivo di persone che perdono la vita rimarrebbe pressoché invariato, mentre quello dei feriti gravi aumenterebbe intorno al 3 per cento. (1) L’analisi è stata condotta con riferimento alla realtà olandese che presenta livelli di sicurezza per i ciclisti molto superiori alla media europea. (2)
Gli autori così sintetizzano i risultati delle ricerche condotte: l’effetto neutrale in termini di numero di vittime in incidenti stradali è il risultato di più fattori: a) l’elevato rischio di essere coinvolti in incidenti mortali per i ciclisti; b) il minor numero di auto in circolazione; c) la minor distanza percorsa (per uno spostamento con identica origine e destinazione) da coloro che scelgono di spostarsi in bici invece che in auto; d) il cosiddetto fenomeno della “safety in numbers” (il rischio per i ciclisti diminuisce al crescere del loro peso sul totale del traffico).
Gli effetti del cambio modale sarebbero di segno opposto per i due gruppi di età, da 18 a 64 anni e oltre i 65 anni: il numero di decessi si ridurrebbe per la prima classe e aumenterebbe per la seconda. Il maggior numero di feriti gravi è conseguente all’incremento del numero di ciclisti coinvolti in incidenti che non interessano mezzi motorizzati. Nonostante una maggior probabilità di essere vittime di incidenti stradali, coloro che optassero per la bicicletta, grazie alla maggiore attività fisica, godrebbero di effetti positivi per le proprie condizioni di salute.

… E QUELLI PER LA FINANZA PUBBLICA


Assumendo che il cambio modale avvenga in assenza di interventi pubblici volti a favorire la mobilità ciclabile e, quindi, di spesa aggiuntiva, il settore pubblico subirebbe un saldo negativo per la riduzione degli introiti derivanti dall’imposizione fiscale sui carburanti che ammonterebbe a circa 2,6 miliardi di euro per anno (si ipotizza invariato il tasso di motorizzazione e il gettito relativo all’acquisto e al possesso dei veicoli). (3) I cittadini, usando meno l’auto, pagherebbero meno tasse, il che certamente li farebbe felici, ma la collettività vedrebbe ridursi il flusso di risorse garantito dal prelievo fiscale sui carburanti. (4)

POLITICHE MIRATE

Per accrescere gli effetti positivi e ridurre quelli negativi, dunque, non c’è bisogno di una “generica” politica di cambio modale, ma di una politica che abbia come target esplicito le generazioni meno anziane e che sia innervata da iniziative (e spese) per accrescere la sicurezza dei ciclisti: piste ciclabili, corsie preferenziali, rafforzamento dei diritti dei ciclisti previsti nel codice della strada, repressione dei comportamenti rischiosi anche degli stessi ciclisti, strade a velocità ridotta a 30 km/h, e così via. Bisognerebbe anche studiare soluzioni che consentano di separare il più possibile il traffico automobilistico di lunga percorrenza urbana (sopra i 5 chilometri, che deve rimanere relativamente veloce) da quello di breve percorrenza, dove è ragionevole far crescere l’uso della bici e dove le auto possono e devono essere rallentate. Perciò, la costruzione mirata di tunnel a pagamento riservati alle auto, ai camion e ai pullman turistici dovrebbe essere presa in considerazione come una delle soluzioni possibili, senza pregiudizi ideologici da una parte e dall’altra.
I maggiori beneficiari dello spostamento di traffico dall’auto alla bici sarebbero proprio gli automobilisti e, in misura più limitata, gli utenti dei trasporti pubblici di superficie, grazie alla riduzione dei tempi di viaggio consentita dalla minore congestione. Per ridurre ancora di più questa esternalità e recuperare risorse (da destinare alla sicurezza dei ciclisti ma anche degli automobilisti), la soluzione preferibile è allora quella di estendere l’uso di strumenti come la “congestion charge” utilizzata per esempio a Milano, Londra e Goteborg. Mentre un ritocco verso l’alto delle tariffe dei servizi di trasporto pubblico non dovrebbe essere considerata come lesa maestà, visto il miglioramento qualitativo del servizio permesso dai più numerosi ciclisti.

(1) Schepers, J, P. e E. Heinenb (2013), “How does a modal shift from short car trips to cycling affect road safety?”, Accident  Analysis and Prevention, 50, 1118–1127; Stipdonk, H. e M. Reurings (2012), “The Effect on Road Safety of a Modal Shift From Car to Bicycle”, Traffic Injury Prevention, 13:4, 412-421.
(2) Il tasso di mortalità – numero di decessi per 100milioni di km percorsi – è pari a 90 contro un valore di 250 per la Gran Bretagna, che pure eccelle in Europa quanto a sicurezza stradale complessiva.
(3) Ottenuto come risultato della seguente operazione: 5,37 * 10-2 [imposizione fiscale media sul carburante in ambito urbano] x 800 [riduzione della percorrenza procapite]  x 60,6 * 106 [n. di abitanti in Italia].
(4) Teoricamente vi sarebbe anche un risparmio conseguente alla riduzione dei costi di produzione dei servizi di trasporto (stimabile intorno ai 500 milioni di euro con un aumento della velocità commerciale del 20 per cento). Nella realtà, finora, ogni qualvolta è stata adottata una misura – ad esempio, istituzione di corsie riservate/congestion charge – che ha determinato un aumento della velocità dei mezzi pubblici ai risparmi non è seguito un taglio di risorse, in alcuni casi perché è stato aumentato il numero delle corse.


Fonte | http://www.lavoce.info/meno-auto-e-piu-bici-chi-vince-e-chi-perde/
« Ultima modifica: Dicembre 13, 2016, 09:57:05 pm by occhio.nero »
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« Risposta #95 il: Maggio 18, 2013, 11:31:16 am »
non che non ci creda, lungi dalla mia persona...ma questi passaggi proprio non li capisco...o per lo meno non capisco l'argomentazione che ci stà dietro come sostegno!

in presenza di una riduzione del 10 per cento del traffico automobilistico, il numero complessivo di persone che perdono la vita rimarrebbe pressoché invariato, mentre quello dei feriti gravi aumenterebbe intorno al 3 per cento


l’effetto neutrale in termini di numero di vittime in incidenti stradali è il risultato di più fattori: a) l’elevato rischio di essere coinvolti in incidenti mortali per i ciclisti; b) il minor numero di auto in circolazione; c) la minor distanza percorsa (per uno spostamento con identica origine e destinazione) da coloro che scelgono di spostarsi in bici invece che in auto; d) il cosiddetto fenomeno della “safety in numbers” (il rischio per i ciclisti diminuisce al crescere del loro peso sul totale del traffico).


qualche lume?!?
Dahon Vitesse D7 HG....Full HG!!B-)

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« Risposta #96 il: Maggio 18, 2013, 05:50:41 pm »
Beh provo a rispondere a quelli facili. ;D
Punto d, "safety in numbers": quante più persone scelgono la bici al posto dell'auto nei loro spostamenti quotidiani tanto meno sarà il traffico automobilistico, e il (maggior) numero di ciclisti in circolazione avrà minori probabilità in percentuale di essere arrotato da un auto.
Punto c: parte dal presupposto che gli spostamenti in bici coinvolgono un minor numero di km di quelli in auto. Questo però non tiene conto delle bici pieghevoli, come del resto tutti questi sondaggi: chi li fa non ha mai sentito parlare di quei diabolici mezzi che a quanto pare si piegano e si ficcano in treno / bus / metro / traghetto / pallone aerostatico etc., e quindi permettono di percorrere tanti km grazie all'intermodalità. ;)
Riguardo ad affermazioni tipo un aumento del 3% degli incidenti mortali, presumo che abbiano sviluppato un modello matematico che tiene conto che banalmente più gente è in giro in bici maggiori sono gli incidenti. Non so però se hanno considerato un fattore "psicologico": se io autosauro guido vedendo al massimo un ciclista al mese, neanche mi preoccupo della loro esistenza e guido senza pensare che potrei stenderli. Se invece sempre io autosauro incomincio a vedere spesso dei ciclisti, inizierò per forza di cosa a porre un'attenzione diversa. Per esempio a Monza ci sono delle ciclabili su marciapiedi, condivise con i pedoni. Agli incroci qualche anno fa le auto giravano per es. a destra senza porsi il problema che dal marciapiede poteva sbucare un ciclista, che per altro avrebbe la precedenza anche sulle striscie, perché sono quelle disegnate in maniera tale da far sì che lì sopra il ciclista abbia la precedenza, alla stregua di un pedone che passa sulle strisce pedonali. Ora invece noto che la maggior parte delle auto su quei viali prima di girare a destra guardano se per caso sta sbucando un ciclista, perché oramai lo sanno che sul marciapiede c'è anche una ciclabile, per altro sempre molto utilizzata (vedo molte signore monzesi anche anzianotte andare a far la spesa con bici & cestino).
Mario
« Ultima modifica: Maggio 18, 2013, 06:14:37 pm by Hopton »
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« Risposta #97 il: Giugno 22, 2013, 01:28:12 pm »



I giovani e l'auto: fine di un amore?



Ansa - In un Paese come l'Italia che mostra ''segnali di incipiente demotorizzazione'', cala l'appeal delle quattro ruote tra i giovani, di cui solo uno su sei comprerebbe un'auto avendo la disponibilità economica, mentre si diffondono modalità di trasporto alternative, più economiche ed eco-friendly, come la bici.
È questo il quadro che emerge dal Rapporto "Automotive 2013", una ricerca a livello europeo da AlixPartners, i cui risultati sono stati illustrati a Roma nel corso della manifestazione Missione Mobilità. Lo studio registra la contrazione del parco auto circolante, con il 2012 che ha visto per la prima volta un saldo negativo tra nuove immatricolazioni e radiazioni (-38.000 veicoli). Nonostante ciò, in Italia la concentrazione di vetture per abitante resta tra le più alte d'Europa, 608 ogni mille abitanti contro una media europea di 497. Alla base della tendenza alla 'demotorizzazione' c'è il fattore economico, con la minore disponibilità di spesa, l'aumento della pressione fiscale e dei costi di gestione dell'auto, che in Europa sono cresciuti in media del 4,5% passando da 3.278 a 3.425 euro annui, mentre il prezzo del carburante è salito del 16%.
Ma a influire è anche il minore appeal dell'auto, soprattutto tra i giovani. Se avesse a disposizione 30mila euro, solo il 16% dei 18-29enni comprerebbe un'auto nuova. Il 36,2% si concederebbe una vacanza da sogno e il 27,6% li conserverebbe sul proprio conto bancario. La conseguenza è che in Italia le vendite di bici hanno superato quelle di auto, sebbene il paese, con 440 velocipedi ogni mille abitanti, mantenga una delle percentuali europee più basse di diffusione (sono 1.010 nei Paesi Bassi e 900 in Germania). E sebbene solo il 5% degli italiani consideri la bici il mezzo principale di trasporto, l'uso dell'auto si riduce passando dalle dalle 5,1 volte a settimana del 2010 alle 4,4 del 2012, sostituito dalle due ruote e dai mezzi pubblici.
A contrarsi non sono solo l'acquisto e l'uso delle auto, ma anche la loro produzione. Dal 2000 al 2012 i principali Paesi europei, ad eccezione della Germania (+16%), hanno registrato una notevole riduzione nella produzione di volumi: - 13% in Gran Bretagna, -34% in Spagna, -37% in Francia e -50% in Belgio, fino al -62% dell'Italia.

Foto | http://www.montaguebikes.com
Fonte | http://www.corriereitaliano.com/Attualita/Italia/2013-06-21/article-3285754/I-giovani-e-lauto%3A-fine-di-un-amore/1
« Ultima modifica: Febbraio 11, 2017, 02:12:41 pm by occhio.nero »
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« Risposta #98 il: Agosto 19, 2013, 04:29:21 pm »
La fine della motorizzazione di massa: storie americane
(Pietro Spirito, Esperto Economia dei trasporti, 19/08/2013, www.huffingtonpost.it)

Un numero crescente di cittadini statunitensi non vuole più vivere nei "suburbs", nei sobborghi delle aree metropolitane che hanno caratterizzato il paesaggio urbano degli Usa nel ventesimo secolo. Per un lungo tratto di storia la borghesia americana aveva abbracciato un modello di vita caratterizzato dal progressivo abbandono dei centri urbani, a vantaggio delle città satellite delle periferie metropolitane, costruite secondo uno schema che prevedeva villette unifamiliari sempre più estese, ricorso all'automobile come unico mezzo di trasporto, diffusione della urbanizzazione su un territorio vasto, grandi centri commerciali (malls).

Nasceva così lo "sprawl", l'espansione urbanistica che ha condotto ad un profondo cambiamento negli stili di vita e nei modelli di consumo delle società occidentali, con una trasformazione che non ha riguardato solo gli Stati Uniti, ma si è estesa poi, in forme diverse, anche nelle grandi aree metropolitane europee.

Negli anni recenti, per effetto della crisi economica ma non solo, questo modello è entrato in crisi e si avvertono i segni di una radicale inversione di tendenza, che non mancherà di lasciare profonde tracce sulla evoluzione dei comportamenti sociali nel ventunesimo secolo.

Si occupa di questo tema una approfondita inchiesta giornalistica curata da Leigh Gallagher, "The end of the suburbs: where American dream is moving", Penguin, 2013. I sobborghi hanno costituito il tratto dominante della crescita residenziale in America nel secolo passato. Circa la metà di 132 milioni di case costruite negli Usa sono collocate nelle periferie urbane. Nella seconda metà del ventesimo secolo la porzione di popolazione che è andata a vivere nelle periferie è fortemente cresciuta, passando dal 31% del 1960 al 51% del 2010: 158 milioni di americani vivono oggi nelle aree residenziali delle periferie metropolitane.

Questo modello insediativo ha determinato drastici cambiamenti nelle scelte di vita. In questa sede ci occupiamo solo dei riflessi che si sono generati sul sistema dei trasporti. Tra il 1969 ed il 2009 le miglia percorse per abitante annualmente sono aumentate del 60%, e molte periferie sono collocate così lontane dall'area metropolitane che la parola stessa rischia di perdere completamente il suo significato originario: Ridgecrest è distante 112 miglia da Bakersfield, l'area metropolitana della California della quale è ufficialmente parte. In posti come Atlanta meno del 10% dei residenti vivono nell'area centrale della città: nel 2000 l'estensione territoriale della città si era più che raddoppiata rispetto al 1970.

Gli ottanta milioni di Millennians, vale a dire gli americani nati tra il 1977 ed il 1995, preferiscono vivere, per il 77%, nelle aree urbane, e mostrano modelli di consumo radicalmente diversi dalle tendenze storiche dei passati decenni. Nel 1980, il 66% dei diciassettenni aveva una patente di guida, contro il 47% del 2010.

Questo dato incrina un modello di sviluppo fondato sulla motorizzazione di massa, che era iniziato agli albori del ventesimo secolo, quando le registrazioni di automobili erano passate dalle 8 mila del 1905 ai 17 milioni del 1925. Sviluppo della motorizzazione e crescita delle periferie urbane sono processi che sono andati di pari passo: tra il 1921 ed il 1936 sono state costruite negli Stati Uniti più di 420.000 miglia di autostrade, e tra il 1923 ed il 1927 sono state costruite più di 900.000 case all'anno.

Nel secondo dopoguerra questa tendenza si è accentuata ulteriormente, al punto che negli anni Cinquanta il tasso di crescita delle periferie metropolitane è stato dieci volte superiore a quello delle aree centrali delle città: non è un caso che nel 1956 il Presidente Dwight Eisenhower firmò il Federal-Aid Highway Act, con il quale furono realizzate altre 41.000 miglia di autostrade.

L'83% dei viaggi degli americani avviene oggi in automobile, il tasso più elevato del mondo, così come è il più elevato al mondo il tasso di consumo individuale di gasolio, a fronte di una politica fiscale sugli idrocarburi che non incorpora, a differenza di quanto accade in Europa, i costi delle esternalità: mentre in Norvegia il costo del gasolio per gallone è pari a 10 dollari, negli Stati Uniti tale valore è pari a 4 dollari, e la differenza la fa tutta il fisco.

I residenti nelle periferie metropolitane negli Usa percorrono annualmente in media tra le 15.000 e le 18.000 miglia all'anno: nei casi estremi si arriva alle 25.000 miglia, con un tempo di viaggio giornaliero di pendolarismo superiore alle 3 ore al giorno: sono 3,5 milioni di Americani in questa condizione.
La crisi economica ha certamente giocato un ruolo rilevante nel mutamento in corso: nel 2008 gli abitanti dei suburbs hanno speso per la benzina il doppio rispetto al 2001.


La gran parte delle famiglie che vivono nelle periferie spendono la metà del loro reddito per la casa ed i trasporti. Nelle famiglie con un reddito annuale tra i 20.000 ed i 50.000 dollari, questo valore sfiora il 60%. Solo per il gasolio, un residente nella periferia spendeva nel 2003 1.422 dollari, mentre nel 2008 la cifra era salita a quasi 3.000 dollari.

Negli ultimi cinquanta anni, il numero delle miglia percorse dagli americani era costantemente cresciuto di anno in anno: a partire dal 2007 questa tendenza si è invertita; nel 2011 le miglia mediamente percorse dagli Americani si sono ridotte del 6% rispetto al dato del 2004.
Leigh Gallagher, dopo averci condotto in un viaggio complesso all'interno di una profonda trasformazione sociale, conclude sottolineando che probabilmente non esiste più un singolo Sogno Americano, quello che aveva condotto ad una realtà molto standardizzata di sviluppo basato sull'automobile, sulla diffusione abitativa in spazi estesi, sul modello di consumo dei grandi centri commerciali.

Esistono molteplici Sogni Americani, e si tratterà di capire come si svilupperanno e verso quali forme nuove di convivenza sociale ed economica condurranno nei prossimi decenni. Quello delle periferie metropolitane è alle nostre spalle.
« Ultima modifica: Settembre 11, 2013, 10:01:25 pm by occhio.nero »
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« Risposta #99 il: Agosto 29, 2013, 11:53:12 am »
sulla falsariga


Stati Uniti, il ritorno in città
28 agosto 2013, Pietro Spirito
http://www.unipd.it/ilbo/content/stati-uniti-il-ritorno-citta


I cambiamenti della geografia metropolitana costituiscono sempre una cartina al tornasole dei mutamenti sociali. Come scrive Bernardo Secchi, il territorio metropolitano “è stato di volta in volta macchina di integrazione o di esclusione sociale”.

Negli Stati Uniti è in corso un processo di riorganizzazione profondo degli spazi urbani. Un numero crescente di cittadini americani sta lasciando i “suburbs”, i sobborghi delle aree metropolitane che hanno caratterizzato il paesaggio urbano degli Usa nel ventesimo secolo. Per un lungo tratto, la middle class aveva abbracciato un modello caratterizzato dal progressivo abbandono dei centri urbani a favore delle città satellite delle periferie, costruite secondo uno schema che prevedeva villette unifamiliari sempre più estese, diffusione dell'urbanizzazione su un territorio vasto, ricorso all’automobile come unico mezzo di trasporto, grandi centri commerciali (malls). Era lo “sprawl”, l’espansione urbanistica che ha condotto a un profondo cambiamento negli stili di vita e nei modelli di consumo delle società occidentali.

I sobborghi hanno costituito il tratto dominante della crescita residenziale in America nel secolo passato: dei 132 milioni di case costruite negli Usa, il 51% sono collocate qui, e fra il 1960 e il 2010 la porzione di popolazione che vi risiede è passata dal 31% al 51%; con 158 milioni di abitanti. Tra il 1969 e il 2009 le miglia all'anno per residente  sono aumentate del 60%, e molte periferie sono collocate così lontane dalle città che la parola stessa rischia di perdere il suo significato originario: Ridgecrest è a 112 miglia da Bakersfield, l’area metropolitana della California della quale fa ufficialmente parte.

Negli anni recenti questo modello è entrato in crisi, e si avvertono i segni di una radicale inversione di tendenza, come testimonia una approfondita inchiesta giornalistica curata da Leigh Gallagher, “The end of the suburbs: where American dream is moving” (Penguin, 2013). Tra il 2010 e il 2011 la popolazione dei suburbs è cresciuta solo dello 0,4%, molto meno del tasso registrato dalle aree metropolitane centrali: è la prima volta che accade da un secolo a questa parte. Mentre 20 anni fa solo il 7% dei permessi di costruzione di New York riguardava il centro urbano, e più del 70% invece la periferia metropolitana, nel 2008 le percentuali erano invertite: solo il 9% nelle periferie, e più del 70% nella città. La popolazione del Loop di Chicago – il distretto centrale – si è triplicata nel corso dell’ultimo decennio.

Lo sprawl residenziale era stato accompagnato anche da uno sprawl delle blue chip companies: Ibm si era spostata da New York a Armonk, General Electric a Faifiled (Connecticut), Motorola da Chicago a Schaumburg (Illinois). A fine anni Novanta, due terzi degli spazi di ufficio erano collocati fuori dalle aree centrali delle città. Ora assistiamo al fenomeno inverso: a Chicago, la United Airlines ha lasciato Elk Grove per tornare a downtown, così come Hillshire Brands si sta spostando da Downers Grove al centro della città; lo stesso a S. Francisco, che attira nelle sue aree centrali le aziende del comparto high tech, prima collocate nella Silicon Valley (Twitter, Dropbox, Pintister).

Gli stessi grandi centri commerciali che hanno caratterizzato il panorama dei suburbs stanno cambiando le proprie scelte insediative. Dal 2006 negli Stati Uniti si è aperto un solo nuovo grande mall, mentre in quelli esistenti i tassi di occupazione si stanno riducendo e le grandi catene progettano investimenti di tipo completamente diverso, come i Neighborhood Markets di Walmart, con una dimensione pari a un quarto dei tradizionali supercenters.

I sobborghi delle metropoli, già luogo di elezione della borghesia, si stanno trasformando anche nella composizione sociale: nel 2010 15,3 milioni di residenti dei suburbs vivevano sotto la linea della povertà, con una crescita pari all’11,5% rispetto all’anno precedente e al 53% rispetto al 2000. Con un tasso di impoverimento più che doppio rispetto a quello delle città, I suburbi Usa sembrano quindi destinati a diventare aree di insediamento per i nuovi poveri, mentre si affermano stili di vita che mettono in crisi il modello della società motorizzata di massa.

Gli 80 milioni di Millennians, vale a dire gli americani nati tra il 1977 ed il 1995, preferiscono vivere, per il 77%, nelle aree urbane, e mostrano modelli di consumo radicalmente diversi dal passato: nel 1980, il 66% dei diciassettenni aveva una patente di guida, contro il 47% del 2010. Si inverte una tendenza iniziata agli albori del ventesimo secolo, quando le automobili erano passate dalle 8.000 del 1905 ai 17 milioni del 1925.

Motorizzazione e crescita delle periferie urbane sono processi paralleli: tra il 1921 ed il 1936 gli Stati Uniti hanno costruito più di 420.000 miglia di autostrade, e più di 900.000 case all’anno tra il 1923 ed il 1927. L’83% degli spostamenti degli americani avviene oggi in automobile, il tasso più elevato del mondo, così come quello di consumo individuale di benzina, a fronte di una politica fiscale sugli idrocarburi che non incorpora, a differenza che in Europa, i costi delle esternalità. Se in Norvegia il costo della benzina per gallone è pari a 10 dollari, negli Stati Uniti è di 4, e la differenza la fa tutta il fisco. I residenti nei sobborghi percorrono in media tra le 15.000 e le 18.000 miglia all’anno e in molti casi fino a 25.000 miglia (più di 40.000 km) con oltre 3 ore al giorno di guida.

La crisi economica ha giocato un ruolo rilevante nel mutamento in corso. Nel 2008 gli abitanti dei suburbs hanno speso per la benzina il doppio rispetto al 2003: da 1.422 a quasi 3.000 dollari. Nella gran parte dei casi, la metà del reddito se ne va per casa e trasporti, una cifra che nelle famiglie tra i 20.000 e i 50.000 dollari annui sfiora il 60%. Secondo Arthur C. Nelson, direttore del centro di ricerca sulle aree metropolitane presso l’Università dello Utah, tendendo conto dei mutamenti demografici e dei cambiamenti nelle preferenze residenziali delle nuove generazioni, entro il 2025 si registrerà negli Stati Uniti un surplus di abitazioni pari a 40 milioni di case, e si porrà il tema della riorganizzazione degli spazi urbani periferici. Alcuni esperimenti sono già in corso: a Lakewood, un sobborgo di Denver, in Colorado, lo shopping mall  "Villa Italia" è stato trasformato in Belmar, una comunità pedonalizzata che ha al suo interno appartamenti, condomini, uffici, studi per artisti, negozi ed una passeggiata che si estende per 22 blocchi urbanizzati.

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« Risposta #100 il: Settembre 09, 2013, 07:59:31 pm »
Addio automobili, non ci servite più
(Laura Lucchini, 9.9.13, su Linkiesta.it)

Nella Germania di Bmw-Mercedes-VW i giovani comprano sempre meno auto. E' un cambio culturale



Sebastian Schmidt è un musicista berlinese di 35 anni. Il suo lavoro, come batterista, lo obbliga a muoversi continuamente, tanto in città come fuori. Eppure, secondo quanto racconta, da anni a questa parte ha rinunciato all’automobile. «È una decisione molto consapevole», spiega, «sono troppo rare le volte in cui davvero ho bisogno di un veicolo e possederne uno è semplicemente troppo caro. Può accadere al massimo in cinque occasioni al mese. In questi casi ho varie opzioni: taxi, car sharing, o chiedere un’auto in prestito ad amici».

Schmidt appartiene a una maggioranza tra i suoi coetanei tedeschi. In Germania, patria di Volkswagen e Mercedes, dove l’industria automobilistica continua ad essere un pilastro portante dell’economia, una tendenza si sta confermando con forza: i cittadini con meno di 40 anni danno sempre meno importanza al fatto di possedere un veicolo proprio. Nelle loro scale di valori riguardo agli oggetti di uso comune si impongono smartphone e biciclette. I dati inquadrano una società che si muove verso il futuro e che obbliga l’industria di settore a ripensare i suoi modelli.

Secondo dati del Collaborating Center on Sustainable Consumption and Production (CSCP), citati anche da Der Spiegel, l’età media degli acquirenti di auto in Germania è aumentata, dai 46 anni nel 1995 ai 52 di oggi. A Berlino, il 46 per cento degli abitanti non possiedono un’auto di proprietà. A Monaco, la maggior parte di chi la possiede, non la usa più di 45 minuti al giorno, e il resto del tempo la lascia in garage pur continuando a pagare i costi di assicurazione e mantenimento. Se ci si riferisce poi ai più giovani la tendenza appare ancora più lampante: tra i minori di 25 anni, la macchina «è un mezzo di trasporto come un altro». Solo il 18 per cento dei giovani che appartengono a questo segmento dicono di considerare per il loro futuro di investire denaro in un’auto. Nel 2010, solo il 7 per cento degli acquirenti d’auto aveva meno di 29 anni. Dieci anni prima questo dato era del 15 per cento del totale. La bicicletta invece non conosce crisi: su circa 80 milioni di cittadini in Germania, secondo il Ministero dei trasporti sono 73 milioni coloro che possiedono una bicicletta.

Schmidt crede che nella città del futuro ci sarà spazio per le auto, però in modo molto inferiore a quanto non sia ora e più nella direzione della sharing economy: «abbiamo bisogno di un terzo delle auto di quelle che attualmente abbiamo in città. Se tutti condividessero un’auto invece di possederla avremmo più parcheggi, più spazi liberi e meno inquinamento».

«Non si tratta di rinunciare a un’auto, quanto piuttosto di non possederla ma usarla solo in caso di necessità», spiega a Linkiesta Michael Kuhndt, direttore del CSCP, «l’industria automobilistica osserva già questo fenomeno e prende parte ad esso, per esempio con la partecipazione dei grandi produttori nei servizi di car sharing. In casi come quello di Smart o di BMW con il servizio “car to go” sono loro stessi ad offrirlo».

Secondo Kuhndt, «i produttori di automobili osservano queste tendenze da vicino e si preparano con nuovi modelli di business alle necessità del futuro. Chi possiede un auto spesso non la usa più di un’ora al giorno, e il resto del tempo la lascia in un parcheggio o garage. Ora con uno smartphone posso vedere velocemente dov’è il prossimo veicolo libero e limitare l’uso alle mie reali necessità».

Nella città del futuro la mobilità sarà sempre più basata sulla condivisione e questo vale già da ora oltre che con le macchine, anche con i servizi di bike sharing. Questa tendenza è permessa dall’utilizzo degli Smartphones. «La tedesca SAP ha sviluppato nuovi software che permettono di combinare vari mezzi di trasporto: il treno, gli autobus e il servizio di carsharing. Mi immagino che nel futuro ci saranno software che permetteranno di programmare l’intera giornata: se una persona deve andare da A a B, esso le offrirà una serie di consigli su quale mezzo di trasporto, bicicletta o servizio pubblico, fino al treno ecc».

Se questa è la città del futuro, alcuni la abitano già. È il caso di Georg Streiter, direttore di progetti di una startup digitale a Berlino, che nella sua vita adulta non ha mai avuto una macchina: «In una città come Berlino non ha senso, se mi devo muovere per lavoro da una parte all’altra arrivo prima con i mezzi pubblici», spiega. Non si immagina un futuro totalmente senza auto, bensì uno con pochi veicoli in circolazione. «Uso tutti i giorni una bicicletta nonostante non ne possegga una particolarmente bella». Non può però prescindere dal suo smartphone, un oggetto che gli permette di muoversi velocemente attraverso le application che gli permettono di usare i servizi di car sharing o di sapere le coincidenze esatte dei mezzi.

Per altri ancora, la rinuncia al possesso di una macchina è una questione ideologica. «Comprare una macchina come investimento è un lusso che appartiene al passato del miracolo economico», secondo Ragnar Weber, un architetto berlinese di 40 anni, «nell’attualità, in Europa ci possiamo permettere un’auto solo perché tre quarti della popolazione mondiale non se la possono permettere. È una follia che produce sprechi di materie prime di tutti i tipi (…). Va contro ogni logica economica».
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« Risposta #101 il: Settembre 10, 2013, 12:56:10 pm »
Questo tipo di articoli andrebbe in una sottosezione dal titolo "cronache marziane"...  :-\
"La città è fatta per le persone, non per scatole di metallo". (Ayfer Baykal, assessore all'ambiente, comune di Copenhagen)
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Offline occhio.nero

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« Risposta #102 il: Settembre 19, 2013, 04:31:26 pm »
un articolo dal Guardian
http://www.theguardian.com/news/datablog/2013/sep/17/recession-transport-bike-sales-overtake-cars

Recession transport: bike sales overtake cars
The European economic cycle appears to have taken on a new dimension - and it's round. Which countries have seen bike sales outpace those for cars? [....]
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Offline sergiozh

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« Risposta #103 il: Settembre 19, 2013, 04:42:12 pm »
nei paesi industrializzati la gente capisce che troppe auto sono un problema. in cina invece l'auto è uno status simbol e un oggetto del desiderio che fa si che le vendite di auto continueranno ad aumentare in cina ancora per qualche decennio.....

Offline cascade

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« Risposta #104 il: Settembre 19, 2013, 07:26:00 pm »
Non sono sicuro che le vendite di auto aumenteranno "per qualche decennio" in un posto come la Cina. Forse accadrà nei paesi in via di sviluppo, considerato il basso livello di vendite da cui si parte, ma in Cina no. Sono abbastanza persuaso, anzi, che ben presto arriveranno a tappo.

Comunque basta aspettare, se ho ragione io non dovremo neanche aspettare dei decenni, ne basterà uno scarso.

Più in generale. Io ho ancora qualche difficoltà a definire questa cosa che stiamo vivendo una "crisi"; mi pare piuttosto una naturale conseguenza delle scelte fatte in passato e che si continuano a fare (non pretendo che tutti siano d'accordo, ma sono fortissimamente convinto che sia così). Tuttavia, questa situazione presenta delle caratteristiche comuni con una "crisi", ad esempio il fatto che alcune opportunità non prese in considerazione prima, diventino accettabili se non addirittura desiderabili.

Andare in bicicletta in Italia si sta trasformando da qualcosa di esotico e scelta per masochisti disposti a farsi maciullare dalle auto in scelta consapevole e funzionale*. Questa soluzione (come altre, per dirla tutta) è sempre stata sotto gli occhi di tutti. Se si deve diventare poveri per riuscire ad apprezzare le soluzioni semplici a problemi generati dalle soluzioni scelte in precedenza (aiuto, mi sto incartando) ben venga diventare poveri.

Solo che la gente sono strani, non vorrei che si finisse col risparmiare sul cibo per pagarsi la benzina...

*oltre che radical chic. Qualche giorno fa un collega (possessore di suv) mi ha dato del fighetto perché arrivo a lavoro in bici. La mia risposta: "E' possibile che io sia un fighetto perché vengo a lavoro in bici; è certo che tu sia un coglione perché vieni in SUV".



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