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Autore Topic: sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)  (Letto 74445 volte)

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Offline Toret74

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #45 il: Gennaio 23, 2016, 06:08:08 pm »
Ciao,
complimenti per la chiarezza espositiva.
Trovo l'argomento molto interessante.
Brompton M6L  Black Edition 2 Lime Green
Tern link p9 nera

Offline boccia

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #46 il: Gennaio 23, 2016, 10:39:30 pm »
Oltre alla assoluta chiarezza dell'esposizione, applaudo l'intento divulgativo e l'immane sforzo di rendere accessibili a tutti gli interessati alcuni argomenti e concetti tutt'altro che intuitivi.
Si tenga presente che normalmente la trattazione teorica di questi temi fa uso di strumenti matematici avanzati, senza i quali per chi vuole spiegare certi fenomeni fisici il compito diventa inevitabilmente più complesso.

Gip, il risultato mi sembra ottimo, se vuoi continuare secondo me fai uno splendido regalo al forum! Grazie. :)

PS: Io continuo a leggere e a imparare... ;)

Offline Matt-o

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #47 il: Gennaio 24, 2016, 10:25:49 am »
Ottimo lavoro Gip, te lo dico da ing. elettronico che di FEM ne sa abbastanza ma di scienza delle costruzioni non sa nulla, l'avevano tolta dall'ordinamento quando ho fatto io elettronica. Un vero peccato, è una materia che ogni ing. dovrebbe approfondire
Brompton M6L nera - CO2 NON emessa a settimana: 9.3 kg

Offline gip

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #48 il: Gennaio 30, 2016, 02:36:33 pm »
Bene! Mi fa piacere che il post sia stato apprezzato e urge un sentito ringraziamento a tutti quelli che me lo hanno manifestato.

@Matt-o. La Scienza delle Costruzioni fu resa facoltativa, nei piani di studio di Elettronica, negli anni 70 proprio quando ero studente io. Qualche mio coetaneo, in difficoltà con questa materia, ne approffittò. Allora sembrò una bestemmia ma se vediamo l’iper specializzazione richiesta oggi dal mondo della tecnologia, la trovo una scelta giusta, anche se questo ha prodotto un ‘buco’ nella cultura generale di alcuni ingegneri al punto di creare più categorie negli albi professionali.

Proseguiamo quindi nel nostro viaggio nella struttura di una bicicletta. Abbiamo visto che in un telaio di bicicletta non sono tanto le forze in se che interessano, ma le tensioni che queste forze generano. Abbiamo accennato anche che minori sono queste tensioni meglio è, e che esse non devono superare certi valori. Ma quali sono le armi che il progettista ha per controllarle al fine di garantire che nulla si rompa e che la struttura duri nel tempo?
2) Geometrie del telaio, materiali e metodi costruttivi.
Occupiamoci prima di tutto della geometria degli elementi componenti un telaio che fondamentalmente sono travi (o aste) connesse tra loro tramite saldature. Abbiamo visto che essi sono percorsi da stati tensionali. Ma è possibile, se ad un primo calcolo gli stress risultassero superiori a quelli ammissibili, ridurre le tensioni presenti? Vediamolo con degli esempi. Nella seguente tabella ho riassunto i dati principali di alcuni profili, assolutamente elementari, dei quali solo gli ultimi due hanno forse un senso nei telai di bici. Ricordo che lo scopo di questi post resta quello di far capire il principio e non di calcolare un telaio.


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Nella tabella sono riportati 6 differenti profili dei quali vengono dati: l’area della sezione di ciascuno, il peso per metro considerandoli prima in acciaio poi in alluminio e i momenti di inerzia secondo gli assi x e y. Nelle ultime due righe della tabella (in grigio) ho riportato per ciascun profilo il valore degli stress massimi riscontrabili sotto i carichi di 100 N e 1000 N (circa 100 kg) applicati al modello visto nel post precedente, nel caso della flessione semplice. Quindi asta da 500 mm con forza applicata al centro. Tutto questo per avere riscontro veloce sull’effetto delle varie geometrie. E’ da notare che le tensioni aumentano linearmente con le forze applicate.
Osservando i valori di Jx e delle relative ? derivanti, risulta evidente che maggiore è il valore del momento d’inerzia più basse risultano le tensioni. Il compito dello strutturista è appunto trovare forme che aumentino l’inerzia senza penalizzare troppo i pesi. Le forme oblunghe (vedi profili 4 e 6) danno inerzie Jx più elevate e, se ben concepite, mantengono pesi decenti. Utilizzare profili ad alta inerzia è un provvedimento classico per abbassare i valori di stress rispetto a quelli riscontrabili in telai di egual geometria generale, costituiti da semplici tubi (tondi o quadri che siano). E questo spiega anche perché in molte bici, comprese tante delle nostre pieghevoli (specialmente in alluminio), il telaio è costituito spesso da profili ovali o ellittici.
E qui arriviamo a una legge fondamentale nella progettazione strutturale: ‘mettere il materiale dove serve!’ E’ inutile aumentare gli spessori dove le tensioni sono basse (vedi assi neutri). Occorre invece avere materiale la dove gli stress sono più alti in modo da distribuire meglio le tensioni. Vale la pena ricordare che processi produttivi come l’idroformatura e lo stampaggio, tipici rispettivamente dell’alluminio e della fibra di carbonio, consentono effettivamente di variare gli spessori ove serve. Il risultato finale sono telai più leggeri ed egualmente robusti di quelli composti con profili estrusi tradizionali, riuscendo talvolta anche ad evitare qualche saldatura che, come vedremo più avanti, rappresenta sempre una criticità.
Se vogliamo fare una critica ai profili di tabella vediamo che il profilo 1 è quello che presenta le tensioni più basse e il tubo rotondo (profilo 5) quelle più elevate. Se vediamo invece l’aspetto peso il profilo 1 è praticamente inaccettabile coi suoi 4,34 kg/m (in alluminio) mentre gli altri sono molto più leggeri. I profili 4 e 6 sono realizzabili solo in alluminio mentre tutti gli altri possono essere realizzati sia in acciaio che alluminio. Il più performante risulta il profilo 4 ma ha una forma inadatta all’uso su un telaio di bici. Il miglior compromesso è il profilo 6, sicuramente un po’ più pesante di altri ma molto resistente. E’ bene dire che con l’alluminio sarebbe auspicabile non andare oltre i 30/60 N/mmq mentre con l’acciaio questo limite può salire anche a 100/140 N/mmq e più, secondo le leghe utilizzate. Questi limiti sono dettati dalla fatica che vedremo in seguito. Il fatto che l’acciaio abbia poi valori ammissibili dalle 3 alle 5 volte superiori rivaluta il povero profilo 5 che, se fatto in acciaio o titanio, può reggere alla grande stress notevoli. I classici tubi Columbus usati per i telai hanno spessori inferiori al millimetro (0,7/0,8 mm), il che li fa anche particolarmente leggeri, e sono in grado di reggere stress anche fino a 200 N/mmq (Niobium), 4/7 volte in più dell’alluminio 6061. Va notato che con acciaio e titanio, con le tecnologie odierne, più in la del tubo tondo non si va. Il titanio ha un indubbio vantaggio sull’acciaio legato in termini di peso (4,5 contro 7,8 kg/dmc) ma paga un po’ come resistenza. Non scordiamo che prestigiosi marchi come Cinelli o Montante costruiscono splendidi telai in tubi di acciaio anche se ad uso amatoriale e non competitivo.
Ovviamente si può far molto meglio di ciò che ho mostrato con un’analisi più approfondita delle geometrie e, perché no, con un po’ di fantasia. Vi è da notare inoltre che se il telaio dovrà essere poi saldato è bene avere ‘ciccia’ nella zona di saldatura altrimenti il processo può essere difficile, se non impossibile, da eseguire.
E ora alcune osservazioni a corollario. Non ho praticamente parlato del modulo di inerzia Jy. In realtà anche lui ha la sua importanza. Seppure in misura molto inferiore rispetto i carichi verticali, esistono anche forze laterali che agiscono sul telaio e dovrà essere lui a farsene carico. Inoltre sono presenti forze che non lavorano sull’asse longitudinale del telaio come la forza più importante di tutte: quella trasmessa dalla gamba nella pedalata. Questi carichi generano momenti che torcono il telaio e, in questo caso, il buon Jy deve darsi da fare assieme al fratello.
Vale la pena spendere ora qualche parola per ragionare anche sulla conseguenza più attesa dall’applicazione di una forza: la deformazione. Anche i tacchini sanno che l’applicazione di una forza produce una deformazione più o meno visibile. La legge che lega lo stress alla deformazione è:
? = E x ?
dove ? è la deformazione ed E è il modulo di elasticità o modulo di Young (dal nome del medico/fisico/filosofo/naturalista/economista/geografo inglese Thomas Young). Il modulo di elasticità ha una importanza fondamentale nelle strutture ed è legato alla natura del materiale. Più è alto il suo valore minore sarà la deformazione a pari stress. Giusto per saperlo il valore del modulo di Young per l’acciaio è mediamente intorno a 210.000 N/mmq, per l’alluminio circa 70.000 N/mmq, per il titanio 103.000 N/mmq e per le fibre di carbonio classe IM circa 280.000 N/mmq. In sostanza l’alluminio deforma tre volte di più dell’acciaio a parità di tensione. Ma allora perchè i telai in alluminio passano per ‘molto rigidi’ quando la fisica dice il contrario?  La risposta sta nella tabella dei profili che vi ho mostrato prima. L’inerzia delle sezioni di profili in alluminio particolarmente studiati riesce ad essere anche sette volte più elevata di quella di un semplice tubo e questo permette di compensare e superare ampiamente i limiti di un modulo di elasticità tre volte inferiore. Il carbonio è invece intrinsecamente molto rigido e non richiede attenzioni particolari, per questo è riservato a bici da competizione e di altissima fascia (con quello che costa...!).
Altra considerazione da fare è che avere alti moduli elastici non è sempre e comunque la cosa migliore. Ad esempio per le forcelle e i carri posteriori non ammortizzati un minimo di elasticità non guasterebbe per assorbire le sollecitazioni indotte da buche ed ostacoli.
Terminiamo il nostro tour attraverso le geometrie dei telai di bici parlando della loro architettura generale.
La forma più conosciuta ed usata è quella a doppio triangolo.


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Il triangolo in ingegneria passa per una delle forme più democratiche e robuste. Ha la capacità di distribuire, più o meno equamente nelle sue tre aste, quasi tutte le forze col risultato di ridurre gli stress e le deformazioni (basta pensare alle travi reticolari, come quelle delle gru). Ancora oggi è la forma più usata e diffusa e se osservate attentamente anche i telai più strani alla fine sono riconducibili ad assiemi di triangoli collegati.

Un cenno lo meritano anche i telai con travi ad arco, usate nelle bici pieghevoli e non solo.



E’ stato introdotto abbastanza recentemente e rispolvera un concetto scoperto solo un paio di migliaia di anni fa dagli ingegneri romani. Quello di trasformare forze flettenti in stati di compressione (molto meno critici). E’ una forma particolarmente adatta ai processi di idroformatura e di stampaggio e ha ottime caratteristiche di resistenza. Può essere utilizzato anche con gli estrusi di alluminio ed i tubi in acciaio sagomando i pezzi con calandre per profili o presse. Per la sua robustezza intrinseca questa forma permette anche di risparmiare qualche etto.
Nelle bici pieghevoli tanti telai sono di questo altro tipo:


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Doppio triangolo, posteriore e sul movimento centrale, e monotrave a partire dal giunto centrale.
Questi telai rappresentano un buon compromesso nell’uso pratico e per i costi della bici. Dal punto di vista strutturale non sono il meglio e richiedono molta attenzione nel dimensionamento dei profili e nell’esecuzione delle saldature. In particolare la parte anteriore del giunto centrale è la zona più critica. In generale per le bici pieghevoli l’ideale sarebbe avere soluzioni senza giunto centrale (Birdy, Montague, Swift, Tikit,...) ma quasi sempre sono soluzioni costose e che aumentano gli ingombri da piegate.
A mio parere uno dei migliori telai nel settore pieghevoli resta quello della Brompton che presenta dettagli costruttivi assai interessanti. Sfrutta la robustezza dei tubi Hi-ten ed ha una struttura del trave principale ad arco. La configurazione del carro posteriore non trasmette momenti flettenti al telaio nella parte bassa, per la presenza della cerniera, e scarica le forze indotte dalla strada direttamente sulla trave principale sotto forma di forze di compressione smorzate da un bumper. L’unico lato discutibile, secondo me, è dato dal giunto centrale posto molto vicino allo sterzo in una zona molto sollecitata. Ma credo che Mr. Ritchie abbia fatto bene i conti a suo tempo e non credo si possa fare diversamente.
Altro telaio che colpisce è quello della Moulton (che non è una pieghevole). Dal punto di vista estetico è spettacolare. Lo è meno dal punto di vista pratico se osserviamo che queste bici alla fine pesano come tutte le altre se non di più (12/13 kg). La costruzione fa pensare ad una struttura molto rigida sia in senso verticale che laterale, ma va a sapere cosa voleva fare a suo tempo l’inneffabile e geniale Sir Moulton.
Ultimamente progettisti e designers si sono espressi con telai innovativi e molto belli esteticamente.



Non mi azzardo a fare critiche di tipo tecnico perchè non so cosa passasse nella testa di chi ha concepito questi oggetti. Vantaggi e svantaggi possono essere descritti solo da chi li ha progettati. Confesso però di restare diffidente verso soluzioni che presentano forti sbalzi e questi esempi ne hanno a iosa.
Per concludere mi sento di dare qualche consiglio ai possessori di bici (specialmente quelle in alluminio ma non solo):
-   Controllare ogni tanto i tre punti indicati dalle frecce rosse nella figura seguente.


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Cannotto dello sterzo, giunto centrale e cannotto del reggisella sono attraversati da stress impegnativi in qualsiasi bici. In particolare vanno tenute sotto controllo le saldature, ai margini delle quali possono partire cricche.
-   Non modificare mai la bici cambiandone caratteristiche essenziali a meno che non sia previsto dal costruttore. Mi riferisco in particolare al rise della forcella e alla lunghezza del tubo reggisella. Non tagliate mai parti della bici che non siano di dettaglio. Cambiare i bracci e la direzione delle forze cambia anche gli stress e i calcoli fatti dai progettisti non valgono più.
-   Se leggendo queste righe qualcuno arriva alla conclusione che il telaio della propria bici sia addirittura pericoloso (magari perchè è in tubi rotondi di alluminio), se lo tolga subito dalla mente. Dietro ogni telaio di marche serie c’è uno studio attento dei progettisti e la sua bici ha subito i test previsti dalla EN 14764 (purchè sia marcata) in fase di omologazione.
-   Mantenersi informati sulle campagne di richiamo che le case serie mettono in atto se riscontrano qualche problema sistematico. Far sostituire subito i componenti indicati come a rischio (vedi ultimamente il caso Tern).

E con questo termina la disamina tecnica della geometria dei telai delle bici. Non resta che affrontare un ultimo argomento per avere il quadro completo: l’esame dei ‘nemici’ principali delle nostre biciclette. In particolare mi riferisco agli effetti della ‘fatica’ e delle saldature. Lo vedremo al prossimo e ultimo post. Ciao a tutti.
« Ultima modifica: Gennaio 30, 2016, 03:04:42 pm by gip »
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Offline gip

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #49 il: Febbraio 06, 2016, 01:33:19 pm »
E veniamo all’ultimo appuntamento del viaggio nel telaio della bicicletta. Parleremo di saldatura e di ‘fatica’ che, pur essendo argomenti diversi, hanno aspetti in comune.
3)   Le saldature.
Abbiamo visto che i telai di bici sono costituiti da aste di varia forma unite tra loro con saldature. La saldatura è un “processo speciale”, definizione tipica delle lavorazioni che non possono essere verificate dopo l’esecuzione, se non con metodi distruttivi o parziali. Questi tipi di processo richiedono un’esecuzione molto attenta, che avvenga in condizioni ottimali e utilizzando stabilmente parametri uguali a quelli di omologazione. La saldatura rappresenta sempre una criticità in una struttura complessa perché, se eseguita a regola d’arte, fa si che vi sia una corretta continuità tra i vari pezzi, ma se introduce difetti, crea punti di debolezza nell’insieme. Ed è statisticamente certo che, alla lunga, qualche difetto può arrivare. Vediamo com’è fatta una saldatura eseguita bene:

                                 
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Si possono distinguere tre zone:
-   Il materiale base, costituente gli elementi da unire (marcata in azzurro).
-   Il cordone di saldatura, in cui si vede il materiale d’apporto dell’elettrodo (in rosso).
-   Una zona detta ‘termicamente alterata’, appartenente al materiale base, posta sul confine con il cordone di saldatura. E’ l’area dove la fusione ha procurato una mutazione della natura cristallina dovuta al forte riscaldamento e al successivo rapido raffreddamento, con inevitabile effetto di tempra (in giallo).
E proprio questa terza zona è la più delicata, dove il materiale è più fragile e soggetto a cricche (combinazione assai poco raccomandabile) per motivi che vedremo dopo. Questo fa già intuire perché in tanti casi le rotture partono proprio dai margini delle saldature. Ecco un paio di esempi di saldature non riuscite benissimo.

 

Si vedrà poi quando parleremo di fatica quali effetti hanno questi bug. L’esperienza ci insegna che, molte volte, questo è ciò che segue:

 

Inizialmente è una cricchetta che col tempo diventa una criccona, dopo di che c’è il crash e, quando accade in bici, c’è solo da augurarsi di avere il casco e un po’ di fortuna.
Non voglio però spaventare nessuno! Sono casi rarissimi. Comunque quanto visto dovrebbe insegnare a fare qualche controllo ogni tanto. Va precisato che la cricca vista nella penultima foto non è visibile a occhio nudo e anche quella dell’ultima foto, che sembra enorme, può vedersi poco su strutture verniciate, in particolare con colori scuri. Il nero lucido poi è una iattura. L’unico modo per trovarle, se si sono formate subito dopo saldatura, è usare i liquidi penetranti quando il telaio non è ancora stato verniciato. Nella foto seguente si può vedere come appare un’indagine LP su un provino, e dove si vedono chiaramente i difetti, evidenziati dal liquido rosso.

                             
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Le saldature possono essere eseguite con diversi metodi. Le foto viste prima mostrano saldature ad arco (nelle bici si usa prevalentemente il metodo TIG - ‘Tungsten Inert Gas’) fatte con temperature del bagno di fusione intorno ai 3000/4000°C, ma sui telai delle bici è comune trovare anche brasature fatte col cannello ossiacetilenico.
La brasatura è una saldatura ‘gentile’ che si esegue scaldando i materiali alle stesse temperature dell’arco (circa 3000°C) ma in modo più lento. Dopo brasatura le zone termicamente alterate si presentano meno temprate di quelle dell’arco. Di solito si esegue con materiali di riporto ‘deboli’, come argentana, stagno, etc., o forti, come leghe particolari di ottone e come lo stesso materiale base. L’alluminio non si brasa, anche se sarebbe in teoria possibile, e sul titanio è proprio meglio evitarlo. Quando si usa materiale di riporto debole, non gli si può affidare compiti strutturali impegnativi. Gli stati di stress sotto sforzo devono perciò essere di livello contenuto. Se i giunti tra aste dovessero presentare stress elevati per usare la brasatura è necessario avere degli incastri tra i vari pezzi, tipo questo movimento centrale Columbus predisposto per ricevere i tubi del telaio.



Questo sistema si fa carico del passaggio delle tensioni e in questo caso la brasatura ha funzione più da ‘collante’ che strutturale. I giunti brasati hanno anche un altro vantaggio: sono meno soggetti a difetti e quindi più sicuri agli effetti della fatica.
Esiste infine un altro fenomeno legato alla saldatura che non tutti conoscono. Come abbiamo visto nelle zone termicamente alterate il metallo cambia forma cristallina. Questo cambiamento provoca una contrazione del volume. In parole povere, dopo saldatura, il pezzo si accorcia (in gergo: “ritira”). Questo ritiro, in un elemento mediamente saldato, vale empiricamente circa l’1‰ della sua lunghezza. Se il nostro pezzo non è libero di scorrere durante il raffreddamento il ritiro provoca uno stato di tensione interno spontaneo. Questo avviene nelle strutture chiuse, come quelle triangolari. Le tensioni interne createsi possono essere anche abbastanza forti da generare microcricche nella zona termicamente alterata durante il raffreddamento, come si era detto prima. Se mettiamo la nostra bici nuova sul marciapiede, appoggiata al cavalletto e senza alcun carico, non sarà quindi completamente priva di stress. Col tempo questo stato di tensione scompare spontaneamente a causa di un altro fenomeno chiamato ‘rilassamento’, comune a molti materiali. Per spiegarlo faccio il solito esempio. Immaginiamo di tendere un normale elastico tra due chiodi. L’elastico assumerà uno stato di tensione. Se lo togliamo da questa posizione, ritornerà alla sua forma originale scaricandosi. Se però aspettiamo un anno a farlo lo troveremo allungato, privo di stress interno e avrà perso, in tutto o in parte, le sue proprietà elastiche. Lo stesso avviene con i metalli. Lo stato di tensione interno provoca micro deformazioni plastiche che lentamente lo attenuano sino a farlo sparire (sono necessari mesi dal momento della saldatura). Volendo si possono eliminare gli stati di tensione interni (almeno nell’acciaio) con un processo di ‘normalizzazione’ che consiste nel riscaldare il materiale a temperature precise (fino a 850°C circa) ed eseguire poi un lento e controllato raffreddamento ripristinando lo stato cristallino originale. Nei carrelli ferroviari ad esempio, i telai sono sistematicamente normalizzati, dopo essere stati saldati, per eliminare le tensioni interne spontanee che altrimenti si sommerebbero poi a quelle di esercizio. Con i telai di bici d’acciaio non mi risulta che qualcuno lo faccia, anche perché le saldature sono poche, piccole e il processo è costoso (può durare ore).

4)   Il fenomeno della fatica
E veniamo a parlare di questo benedetto fenomeno noto come ‘fatica dei materiali’. E’ un qualcosa che interessa tutti i materiali: metalli, cemento, rocce, etc. Per spiegarlo e forse è meglio passare anche qui attraverso un esempio. Immaginiamo che per casa giri una vecchia poltrona comprata dai nonni, poi usata dai genitori e dove oggi ci sediamo a guardare la televisione. Sembra nuova perché è sempre stata usata da tutti con la massima cura. Nessun figlio che a tre mesi d’età ci abbia vomitato sopra e a cinque anni si divertisse a saltarci su e giù.  Se però avessimo un’immagine di quando era stata comprata, noteremmo una differenza notevole. Cuscini deformati, legno più scuro, rivestimenti consumati e scoloriti, qualche cucitura frustra. Sono cose che non vedremmo senza un confronto con quando era nuova. In sostanza è ‘invecchiata’ e questo accade anche alle strutture metalliche messe sotto stress dinamici. L’unica differenza è che queste ultime non lo danno a vedere e appaiono sempre uguali a quando erano state costruite.
Il fenomeno della fatica fu identificato alla fine dell’800. In Inghilterra giravano ormai regolarmente i treni per uso commerciale merci e passeggeri. Capitava, con frequenza poco rassicurante, che si registrassero rotture degli assi dei carri, causando incidenti dalle conseguenze facilmente immaginabili. Il fatto era misterioso perché i calcoli statici erano corretti e i valori di stress sempre lontani dai limiti di snervamento.
Fu l’ingegnere tedesco August Wohler a dare la spiegazione. Dopo aver massacrato tonnellate di ferro in laboratorio, egli intuì che questi crash dipendevano dalla degenerazione dei materiali dovuta alle difettosità che essi inevitabilmente contenevano. Capì inoltre che l’invecchiamento era non causato dalle tensioni statiche ma da quelle di natura pulsante e/o dinamica d’intensità ben inferiore ai normali valori di snervamento e rottura. Tra i difetti causa della fatica individuati da Wohler, e in seguito dai sui discepoli, mi limito a descrivere i seguenti:

-   Difetti molecolari (e qui si entra nella chimica). La figura seguente mostra un aspetto caratteristico dei metalli: la presenza di ‘dislocazioni’ o ‘vacanze’ insinuate nel reticolo atomico.

                                                   
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In sostanza nel reticolo ogni tanto manca una fila di atomi lasciando un buchetto di dimensioni atomiche che, sotto stress, è destinato a muoversi e crescere. Questo tipo di difetto è inevitabile e non visibile con alcuno strumento.

-   Difetti granulari. Un’altra caratteristica dei metalli è di avere la struttura formata da ‘grani’ i quali aderiscono l’uno all’altro con un legame energetico superficiale molto forte. Con l’affaticamento accade quanto descritto dalle seguenti fotografie.

   

La prima mostra una struttura granulare integra, la seconda una stressata e la terza fa vedere una cricca interna ormai formata. In buona sostanza il materiale tende a degradare nel tempo assumendo un aspetto sfibrato. Tali difetti sono visibili solo con un microscopio. E’ importante dire che le cricche avanzano sempre tra i grani ed è difficile che riescano a romperli. Tutto questo introduce un elemento fondamentale nella fatica che è appunto l’energia di legame e più questa è elevata più è stabile il materiale e difficile da rompere.

-   Difetti superficiali. Una superficie metallica apparentemente liscia al microscopio si presenta in realtà come una catena montuosa vista da lontano. Con creste e valli. Le valli in particolare possono avere forma a U, a V e la temutissima forma a cuspide ?. Qui sotto due foto che mostrano una micrografia di una superficie metallica e una macrografia di come si è sviluppata una cricca partita da un difetto di questo tipo.

 

E’ facile intuire come il nemico numero uno delle superfici d’acciaio sia la ruggine. L’ossidazione asporta atomi di ferro superficiali per legarli all’ossigeno. Se l’ossidazione è lasciata progredire finirà col mangiarsi letteralmente il ferro disponibile lasciando le superfici butterate da crateri. Per chi non lo sapesse, nemmeno l’alluminio è completamente esente da corrosione (almeno per certe leghe). Nell’alluminio però non si tratta normalmente di processi chimici naturali ma di tipo elettrolitico. Il titanio e l’acciaio inox non hanno questo tipo di problema.

-   Difetti macro. Di solito questi non sono difetti ‘naturali’ del materiale come i precedenti. Sono quelli di grandi dimensioni (per modo di dire perché non sempre sono visibili a occhio nudo) presenti nelle fusioni come pori e inclusioni estranee al materiale, o introdotti dalle lavorazioni. Ne abbiamo visti alcuni parlando di saldatura, ma possono essere generati anche dalle lavorazioni di macchina utensile.
 
Molte difettosità messe sotto stress pulsante e/o dinamico tendono a progredire nel tempo ingrandendosi sino a formare cavità via via più grandi. Perché questo accada, è comunque indispensabile che la tensione che interessa il difetto sia di trazione e agisca in modo ortogonale all’asse più lungo del difetto stesso. Le tensioni di compressione tendono invece a chiudere i difetti e non sono dannose. Proviamo a fare un esperimento. Prendiamo un foglio di carta e pratichiamo un taglietto a V con la forbice su uno dei lati. Poi cominciamo a tenderlo come in figura tirandolo per i margini come indicato dalle frecce rosse.

                                           
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Se tiriamo piano i lembi del foglio, non accade niente ma se tiriamo con forza, lo spacchiamo subito in due. Se le linee di forza passano lontano dal taglio, la cricca non procede, ma se passano attraverso il taglio questo, si aprirà inesorabilmente con poco sforzo. Nella figura le linee di forza pericolose sono quelle rosse che si accumulano proprio al vertice. Se invece tiriamo il nostro foglio come indicano le frecce verdi, il taglio non progredirà (sforzo parallelo all’asse del difetto).
Altre condizioni necessarie allo sviluppo delle fratture sono:
- Che gli stress raggiungano una certa intensità, perché il legame metallico è forte e non è facile vincerlo (non conosco persona capace di stracciare una lamiera, anche sottile, a mani nude!).
- Che il difetto abbia una forma favorevole alla propagazione. Va detto che una cricca nel suo sviluppo può cambiare la sua forma passando da pericolosa a innocua, o viceversa. Uno dei metodi per bloccare le cricche, se visibili, è quello di forare le loro estremità eliminando le cuspidi estreme per fare in modo che gli stress aggirino il punto ‘malato’ e togliere la tensione dai vertici. E’ però un provvedimento tampone che prelude a una riparazione.  L’ho visto fare addirittura sulle lamiere di elicotteri quando la manutenzione non era imminente.

                               
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(continua)
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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #50 il: Febbraio 06, 2016, 01:35:10 pm »
(continua)
E dopo tutte queste apocalittiche descrizioni sulle cause e le conseguenze della fatica veniamo alle conclusioni di Wohler, che si riassumono benissimo in questo diagramma:


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Sono qui rappresentate le durate nel tempo (espresse in cicli di carico) in funzione degli stati di tensione nell’acciaio e nelle leghe non ferrose come quelle di alluminio.
 Questo diagramma ha solo un valore qualitativo perché in realtà ogni lega metallica ha la sua curva specifica. Come si può vedere l’acciaio ha una soglia di tensione sotto la quale la fatica non progredisce perché non si arriva mai a vincere il legame metallico, e le strutture interessate da stress inferiori a questo valore sono considerate a ‘vita infinita’. Con l’alluminio non vi è invece un limite inferiore per avere una vita infinita ma si può però arrivare a durate considerevoli. Ma quanto considerevoli?
Proviamo a ragionare prendendo a riferimento la norma EN 14764 (che non distingue i tipi di materiale) dove il nostro telaio è provato in varie condizioni tra le quali riporto:
-   Carico di 100 kg applicato a una sella montata con uno sbalzo posteriore di 70 mm rispetto il cannotto, per 100.000 cicli.
-   Carico alternato di 100 kg per 50.000 cicli su ciascun pedale.
Queste prove simulano gli stress di un esercizio pesante della bici per circa dieci anni di lavoro e questo è il minimo che chiede la normativa. Alla fine delle prove non devono essere presenti cricche e/o deformazioni. In condizioni più normali, e con il peso del ciclista di 80 kg o meno, possiamo tranquillamente raddoppiare il valore minimo della durata teorica. In particolare osservando i 100 kg per pedale richiesti dalla normativa, sappiamo che la forza reale che può esercitare la gamba di un ciclista normale, e non competitivo, è stimata da 9 a 35 kg che è un valore molto più basso delle condizioni di prova.
Fanno invece male le buche che troviamo per strada dove possiamo riscontrare accelerazioni verticali pari a 1,5/2 g (buca profonda circa 10 cm). In sostanza il nostro peso per un breve transitorio arriva da 1,5 a 2 volte il suo valore reale. Non sono però situazioni che si dovrebbero riscontrare molto spesso. In sostanza una bici trattata ‘normalmente’ (buche comprese) i suoi venti anni li fa tutti e può arrivare molto più in là. Per una bici in alluminio poco usata parliamo di decenni. La durata cala ovviamente se il peso del ciclista è notevole, l’uso è particolarmente intenso e se le strade frequentate sono infami. Se la bici non ha difetti strutturali congeniti dieci anni comunque sono garantiti anche nelle peggiori condizioni, a meno di non fare numeri da circo equestre che possono portare a rotture molto precoci sul serio. Se ci fate caso un po’ tutti i costruttori danno 100/110 kg come limite di peso del ciclista. E guarda il caso è un valore allineato a quello previsto dalla norma EN 14764. Vi è da aggiungere che il progettista solitamente sta sempre dalla parte della ragione e, anche se non è dato saperlo, usa coefficienti di sicurezza adeguati. Fare un telaio in alluminio da 2,2 kg costa 1 € in più che farlo da 2 kg e le garanzie di durata aumentano notevolmente lasciando dormire tranquilli.
Le teorie sulla fatica sono comunque molto più complesse di come qui descritto e, ancora oggi, stanno progredendo. Non si tratta di un fenomeno risolvibile con equazioni esatte (se non per materiali ideali) ma ci si lavora quasi esclusivamente per via sperimentale. Tutti gli anni i Politecnici sfornano decine di tesi per quest’argomento. Nel dettaglio analitico, gli algoritmi del calcolo a fatica sono difficili da capire e da spiegare, per cui mi guardo bene dal farlo. Il progettista, durante il suo lavoro, deve passare attraverso calcoli complessi eseguiti sui diagrammi di Goodman-Smith, e meno male che oggi gli elaboratori danno un grosso aiuto. Come già detto i livelli di tensione ammissibile in regime di fatica, sono dettati negli eurocodici che hanno valenza di normativa.
Da parte nostra quello che possiamo fare, oltre che pedalare, è trattare bene le nostre bici risparmiando loro strapazzi inutili, usandole per quello per cui sono fatte, tenendole pulite, evitando loro fenomeni come la ruggine e facendo una corretta manutenzione periodica. Non sto dicendo alcuna cosa che non sia ovvia.
E con questo ho finito il mio viaggio nel telaio della bicicletta. Mi auguro che per qualcuno sia stato interessante e di aver fatto addormentare solo pochi tra i quattro che sono arrivati sin qui. Se ci sono domande sono qui. Per adesso, ciao a tutti.
« Ultima modifica: Febbraio 06, 2016, 01:39:31 pm by gip »
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Offline Matt-o

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #51 il: Febbraio 07, 2016, 11:22:34 am »
Solo questo: GRAZIE!
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Offline gip

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #52 il: Febbraio 07, 2016, 01:10:25 pm »
Grazie a te Matt-o e a tutti quelli che hanno manifestato apprezzamento. Fa piacere che questi post, non facilissimi da leggere, siano piaciuti a qualcuno. :)
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Offline Andre@

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #53 il: Febbraio 07, 2016, 03:14:12 pm »
Il lavoro maggiore è il tuo, per cercare di rendere il tutto comprensibile....sappi che, comunque, leggendo il tutto e ritenendolo molto tecnico, qualche cosa di nuovo rimane dentro ognuno di noi....il che non fa che rendere questo forum fiero di utenti come te :):)

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Offline boccia

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #54 il: Febbraio 07, 2016, 07:03:53 pm »
Da oggi chi vorrà approfondire l'argomento troverà pane per i suoi denti. Grazie Gip! ;)

Offline Andre@

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #55 il: Settembre 22, 2017, 11:21:23 am »
Questo e' successo oggi al mio collega....come comportarsi ??

FTGLR

« Ultima modifica: Settembre 23, 2017, 09:09:26 pm by occhio.nero »
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Offline Sbrindola

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #56 il: Settembre 22, 2017, 12:17:54 pm »
Contattare il rivenditore e far valere la garanzia, sempre che sia ancora valida.

Offline Andre@

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #57 il: Settembre 22, 2017, 12:26:45 pm »
nel caso non ci fosse piu'....vi fidereste a farlo saldare (da uno che salda a mestiere l'alluminio ?
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Offline Sbrindola

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #58 il: Settembre 22, 2017, 12:34:29 pm »
personalmente no.
Anche qui, come nel caso di Tern non è la saldatura ad avere ceduto ma il tubo nelle immediate vicinanze, segno che ha patito lo stress termico della saldatura originale. Aggiungerne una nuova IMHO non migliorerebbe la situazione ed il telaio dovrebbe essere poi sottoposto a trattamento termico per essere un po' più tranquilli. Questo passaggio però è altamente improbabile.
Anche in caso di garanzia scaduta comunque proverei a sondare il terreno: vista la gravità del problema, le possibili implicazioni di sicurezza e la cattiva pubblicità, dovrebbe esserci comunque interesse a risolverlo.

Offline veeg

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Re:sollecitazioni del telaio (stress, fratture, ...)
« Risposta #59 il: Settembre 22, 2017, 01:17:34 pm »
Azz brutta roba!
Andrea ma è lo stesso che aveva rotto il piantone sterzo?
E in quale situazione si è rotto il telaio?
Peso utilizzatore?

PS: il peso è per una mia personale indagine tecnica