Salve a tutti, il giro che descriverò questa volta è un po’ ai limiti della praticabilità con una pieghevole, quanto meno nella prima parte piuttosto accidentata; di fatto è uno dei motivi per cui a suo tempo ho voluto acquistare la Espresso, per poter affrontare qualche sterrato e salitella con più agio rispetto alla Vitesse. Obiettivo raggiunto. Abbastanza, almeno.
L’obiettivo inizialmente era il percorso ciclabile lungo la valle del Lambro, parte dell’itinerario ciclopedonale Monza-Erba, dalla stazione di Carate-Calò, sulla ferrovia Monza-Lecco via Molteno, fino al parco della Villa Reale di Monza. A questo ho poi aggiunto un tratto lungo il canale Villoresi, modulabile in funzione delle linee ferroviarie intersecate in modo da poterne aggiustare la lunghezza secondo necessità.
In pratica il progetto era questo:
https://www.komoot.com/it-it/tour/660116859?share_token=a1KY3T83EIxH4cDrxpbaQWHWBId16cTzAUOvvVNf3g7pGNZjUC&ref=wtdlungo 38 km (più i brevi tratti di avvicinamento da e per le stazioni); nella realtà è poi risultato questo, di 45 km,
https://www.komoot.com/it-it/tour/1047273852?ref=wtda causa di varie deviazioni, in parte volute e in parte impreviste.
Poichè l’andata richiedeva comunque un cambio di treno, ho pensato di evitare una coincidenza troppo stretta come quella che mi proponeva l’app Trenord nella stazione di Milano Greco, oltre tutto con un Regionale da Piacenza facilmente soggetto a ritardi, e così ho optato per un primo tratto fino a Monza con un S9 per poi trasbordare una ventina di minuti dopo su un S7 (“Besanino”). Quindi metropolitana 3 fino a Lodi TIBB, poi breve trasferimento alla stazione ferroviaria Porta Romana, dove puntuale alle 8.42 arriva il mio treno, la solita composizione di carrozze a piano ribassato come quella utilizzata la settimana scorsa per “Ruotine e Rotaie”
A Monza tutto il tempo di passare dal binario 1 al 6 con i lentissimi e minuscoli (la Espresso ci entra solo piegata) ascensori di stazione. La prossima volta devo provare, con gli stessi treni, a cambiare a Sesto San Giovanni; chissà che non riesca a farlo sullo stesso marciapiede…
Altrettanto puntuale, alle 9.34 ecco arrivare il mio Besanino, in composizione mista di due treni Diesel Stadler, uno corto (ATR.115 a due casse) in testa e uno lungo (ATR.125 a quattro casse) in coda.
La composizione robusta si spiega probabilmente con esigenze di turno del materiale, che dopo aver svolto le corse in ora di punta viaggia ora semivuoto,
tanto che per parcheggiare la bici non c’è bisogno di particolari accortezze: lo spazio fra due divani è più che sufficiente, con l’accortezza di inclinare la bici in modo da allontanare la catena dalla stoffa della seduta.
Nel giro di poche fermate il paesaggio muta radicalmente, dalla periferia industriale (o ex-industriale) al verde della valle del Lambro; alcune stazioni sono così piccole che attraverso gli altoparlanti interni si consiglia ai passeggeri di utilizzare le porte delle prime carrozze per non rischiare di dover scendere fuori dal marciapiede.
A Carate-Calò sono l’unico a scendere e, una volta partito il treno
l’unico suono che rompe il silenzio è il canto di un gallo. E siamo a meno di 30 minuti di viaggio da Monza…
A questo punto breve digressione tecnica: come altre volte ho montato sul manubrio la telecamerina da utilizzare come macchina fotografica, però questa volta la scheda di memoria ha pensato bene di svamparsi non registrando le foto dei primi chilometri, poi nel pomeriggio la batteria ha tirato i remi in barca un po’ prima della fine del giro, e così sono ricorso alle immagini dello Street View di Google per integrare le mie. Comunque la distinzione è facile: le immagini coi colori più belli sono di Google, le altre sono le mie.
Un breve tratto di strada, utilizzato solo da pochi pendolari,
collega la stazione con la ripida discesa
che porta al ponte sul Lambro.
Qui si svolta a sinistra e dopo poche decine di metri l’asfalto termina… contro il cancello di una casa privata. Guardando meglio, sulla destra si nota uno stretto sentiero con un cartello blu ed ecco il percorso.
Il primo tratto è parecchio accidentato, con pietre vive e bruschi saliscendi sconnessi che un paio di volte mi costringono a mettere piede a terra e proseguire a spinta. Oltre alla mia scarsità di gamba, credo che influiscano anche le gomme gonfiate a pressione “stradale” (non al massimo ma quasi) e quindi parecchio dure. Problema che evidentemente non hanno gli altri ciclisti che incontro, che sfrecciano a velocità smodata con le loro MTB e gravel. La solita differenza di approccio fra “turisti” e “sportivi”…
In questo tratto sicuramente una pieghevole con ruote da 20’ sarebbe stata ben poco adatta.
Le cose migliorano dopo una ventina di minuti e un paio di chilometri
con un tratto di falsopiano che porta ad Albiate.
Qui faccio una breve pausa-barretta e sostituisco la scheda di memoria prima di ripartire. Un ripida discesa acciottolata
riporta al livello del fiume, da cui d’ora in poi non mi dovrò più allontanare. Il percorso, sempre sterrato ma abbastanza liscio nell’insieme, è un po’ meno selvaggio del precedente, con il Lambro che mormora placidamente alla mia sinistra e scorci piacevoli.
Purtroppo l’orientamento nord-sud del percorso fa sì che la maggior parte delle foto siano viziate dal controluce, specie quelle della telecamerina col suo supergrandangolo che finisce sempre con l’inquadrare il sole stesso o almeno qualche riflesso parassita.
Poco prima di Macherio si passa sotto a uno dei due imponenti ponti ferroviari (l’altro è su un affluente del Lambro, sul versante opposto della vallata), quasi infotografabile se non dal basso a causa della fitta vegetazione.
Subito dopo la stradina corre ai piedi del binario, sotto un grande muro di sostegno.
All’altezza della fermata di Macherio-Canonica la valle si apre definitivamente sulla pianura, punteggiata di costruzioni di ogni epoca e genere
e dopo gli ultimi saliscendi
si sbuca su una strada a medio traffico che si percorre per un paio di centinaia di metri fino al passaggio a livello
in corrispondenza della fermata di Biassono-Lesmo Parco.
Come dice il nome, il muro di cinta del parco della Villa Reale è lì a portata di mano, ma l’accesso da cui avevo pianificato di entrare è decisamente chiuso, in apparenza permanentemente chiuso. Ed ecco la prima deviazione: costeggio il lato nord del parco su una comoda ciclabile e finalmente ecco un accesso. Orientandomi un po’ a lume di naso, perché il navigatore insiste a suggerirmi un’inversione a U per tornare sull’itinerario programmato, pedalo in tranquillità lungo le reti che delimitano l’autodromo, poi all’altezza delle tribune che dominano la prima variante (quella al termine del rettilineo dei box, teatro negli anni di tanti incidenti, tragici o semplicemente spettacolari), un sentiero che taglia nel prato
mi permette di raggiungere una delle ampie strade asfaltate che percorrono il parco.
Per provare a ricongiungermi al percorso programmato passo sotto la celebre Parabolica, la curva soprelevata dell’anello di alta velocità ormai in disuso
ma un’interruzione della strada per San Giorgio (
“ci stanno le macchine che girano” mi dice un addetto alla sicurezza, comodamente seduto in auto, dopo aver richiamato la mia attenzione con veementi strombazzate) mi costringe a tornare indietro, ed ecco altri 2 km e passa imprevisti…
Immagine di relax sullo sfondo della palazzina ottocentesca che ospita un ristorante di lusso
Uscito dal parco, mi allontano quasi subito dal traffico percorrendo le vie pedonalizzare del centro di Monza.
È da poco passato mezzogiorno, un po’ presto per mettere le gambe sotto il tavolo e un po’ tardi per andare in stazione a cercare un treno per casa, quindi decido di attuare anche la seconda parte del programma; l’obiettivo diventa ora una trattoria a Nova Milanese, da raggiungere percorrendo le alzaie del canale Villoresi. Sono poco meno di 9 km, si può fare…
E qui apro una seconda digressione sul Villoresi: non è affascinante come il Naviglio Grande o la Martesana, il paesaggio risente della forte urbanizzazione, in più è anche in asciutta,
però in confronto a come lo avevo sentito descrivere (“supermarket dello spaccio e del sesso a pagamento”; posto a rischio di brutti incontri; mal frequentato…) devo dire che l’ho trovato un posto molto “normale” e anche un asse di comunicazione parecchio utilizzato; magari sarà anche l’orario, ma ho incontrato mamme con bambini nel passeggino, giovani donne che fanno jogging, anziani che portano a spasso il cane, studenti appena usciti da scuola, ciclofattorini che tagliano da un quartiere all’altro evitando il traffico…
La segnaletica, che già prima di arrivare a Monza era presente e sufficiente, si arricchisce ora di queste indicazioni delle distanze:
qui siamo a Muggiò, per Panperduto (incile del canale dal corso del Ticino) c’è ancora da pedalare parecchio… Ma non per me.
Una macchia di colori primaverili.
Sono le 13.05 (strano, in genere faccio molto più tardi) quando arrivo alla trattoria “da Marta”, in via dell’Assunta, e il locale, molto piccolo, sembra parecchio pieno; non demordo, lascio brevemente incustodita sul marciapiede la bici (piegata, giusto per complicare un po’ la vita all’eventuale ladro di passaggio) e mi affaccio a chiedere se c’è posto per uno: sulle prime la proprietaria dice di no e non mi dà neanche molte speranze se volessi aspettare, ma un signore seduto da solo a un tavolo da due si offre di condividerlo; per me va più che bene, quindi recupero la bici parcheggiandola nell’unico angolo libero vicino alla porta e scambio quattro chiacchiere col mio gentilissimo compagno di tavola, in attesa della pappa.
L’ambiente è gradevole, la classica trattoria di una volta con le tovaglie a quadri, gli avventori che si conoscono un po’ tutti e soprattutto un menu sostanzioso e senza troppe pretese. La raccomando a chi fosse di passaggio, anche se sarebbe difficile proporla come meta per una gita di gruppo per l’oggettiva impossibilità di ricoverare più di una o due bici. Servizio abbastanza veloce, specie considerando l’affollamento, e un piatto di ottime tagliatelle al ragù viene spazzolato via prima ancora che mi venga in mente di fotografarlo. Mi rifaccio sulla torta di cioccolato e mandorle che ho ordinato in previsione dei chilometri che ancora mi aspettano.
La pausa pranzo dura esattamente un’ora e poi mi rimetto in strada.
Dopo un paio di chilometri, sulla destra mi appare la mole della Villa Bagatti Valsecchi
e l’andirivieni sul viale per fare una foto un po’ più ravvicinata
aggiunge un ulteriore chilometro netto al totale. Per esemplificare il concetto, la ciclabile è nel comune di Paderno Dugnano, la villa in quello di Varedo.
Ancora poche centinaia di metri ed ecco un altro punto caratteristico: in corrispondenza dello scavalcamento del torrente Seveso da parte del canale Villoresi, era stata costruita una passerella elicoidale per permetteva di scavalcare la ferrovia Milano-Asso. Purtroppo a causa di carente (o nulla) manutenzione, già da almeno un paio d’anni la struttura è interrotta per il crollo di un paio di campate, e come se non bastasse ci sono lavori in corso che insistono sull’alzaia del canale.
Ecco invece come si presentava il tutto nell’ormai lontano 2016.
Come mostra la cartina, una breve deviazione fino al passaggio a livello della stazione di Palazzolo Milanese permette di aggirare l’ostacolo. Quello che la cartina non mostra, invece, è che il passaggio a livello resta chiuso per tempi biblici: dopo aver visto passare due treni e sentito annunciare il terzo, decido che mi sono stufato di aspettare e passo dall’altra parte dei binari utilizzando il sottopassaggio della stazione, con buona pace degli automobilisti che sono ancora inchiodati lì quando ripasso dalla parte opposta…
In teoria da Palazzolo avrei potuto rientrare agevolmente a Rogoredo con un treno della linea S2, ma è proprio uno di quelli che sono passati mentre ero al passaggio a livello, quindi dovrei aspettare mezzora per il successivo: nello stesso tempo, penso, posso arrivare a Garbagnate Parco delle Groane a da lì prendere un S1 che mi scaricherebbe ugualmente a Rogoredo.
In teoria, e anche in pratica, però questi ultimi 6 km sono quelli che mi sono meno goduto di tutto il giro, sia perché un po’ di stanchezza comincia a sentirsi nelle gambe (negli ultimi metri vengo anche colto da un breve e fastidioso crampo al quadricipite sinistro) ma non nel fondoschiena, onore alla mia validissima sella Moonsaddle, sia perché il mio atteggiamento mentale non è più quello di chi sta esplorando posti nuovi ma quello di chi vuole sbrigarsi a chiudere la giornata e tornare a casa.
In più, come dicevo all’inizio, la batteria della Nilox si è arresa, per cui ripiego su un altro paio di immagini da Street View: uno dei vari ponti (in effetti è da Monza che il percorso continua a passare da una sponda all’altra del canale)
e il moderno fabbricato viaggiatori di Garbagnate Parco delle Groane (già Garbagnate Serenella),
dove arrivo con ottimo tempismo; giusto qualche minuto per acquistare il biglietto, piegare la bici e aspettare il mio treno.
Viaggio senza storia… e senza panorami, perché le carrozze sono oscenamente scarabocchiate dai soliti vandali che non hanno risparmiato neanche i finestrini. In pratica è come viaggiare nel Passante fin da subito…
Vittorio