Ormai dovrebbe essere abbastanza nota la mia mania di ripercorrere in bici le sedi di vecchie ferrovie abbandonate: questa volta la meta era una linea secondaria a scartamento ridotto (760 mm) costruita sotto l’impero austroungarico e chiusa sotto l’amministrazione FS nel 1936: la Mori-Arco-Riva (MAR), itinerario che stavo studiando da tempo ma per la cui realizzazione era necessario un favorevole concatenarsi di orari e vettori di trasporto.
Qui di seguito la mappa tracciata da Komoot

e il relativo link:
https://www.komoot.it/tour/902137783?ref=wtdCinque ore di mascherina, due ore in sella…Poichè la fortissima asimmetria nella pendenza mi faceva immediatamente escludere un itinerario di andata e ritorno, ho dovuto rinunciare in partenza all’avvicinamento in auto e puntare sull’intermodalità più spinta. La chiave di tutto stava nel partire da Mori non troppo tardi per giungere a Riva in tempo per l’unico battello utilizzabile, quello delle 15.05, dato che la successiva corsa “rapida” delle 16.40 non ammette il trasporto di biciclette, nemmeno come bagaglio. Trovati i treni, in passato mi era mancato il primo tassello del percorso, da Salò alla stazione di Desenzano, per evitare di lasciare l’auto in parcheggio e poi doverla recuperare il giorno dopo. Quest’anno una sorte benigna ha voluto che Arriva istituisse sperimentalmente per il periodo estivo una navetta Salò-Desenzano, cadenzata ai 30’: perfetta. Posso così tracciare un percorso che con una corriera e due treni mi porterà a Mori per mezzogiorno in punto, al prezzo di due coincidenze molto larghe, lasciandomi agio di raggiungere Riva in tempo per il battello.
E così eccomi alle 8.31 con la Espresso coscienziosamente ripiegata e i miei due biglietti alla mano (uno per me e uno, alla tariffa minima, per il bagaglio) alla stazione delle corriere. Il bello degli autobus moderni è che sono attrezzati per il trasporto di persone a mobilità ridotta (PMR), ma di PMR non se ne vede mai neanche l’ombra, per cui lo spazio rimane libero per i pieghevolisti di passaggio…
All’inizio tento di fare il figo appoggiando la bici alla parete e legandola con la cintura di sicurezza prevista per la sedia a rotelle,

ma dopo neanche 300 m, alla prima rotonda si ribalta clamorosamente. Poichè tra Salò e Desenzano (21 km) si incontrano non meno di 23 rotonde (le ho contate), non insisto e la corico per terra.

Il viaggio in corriera è programmato in 44 minuti, che possono sembrare tanti (in effetti per un bel pezzetto restiamo dietro a un ciclista di buona gamba) ma devono tenere conto delle devastanti punte di traffico in altri orari. Tutto si può dire tranne che la corsa sia affollata: in tutto trasporterà sei (!) persone, di cui io sono l’unico sull’intero percorso e l’unico italiano. Considerando che io ho speso 3€ per me e 1,30€ per la bici, mi sa che con i biglietti non si è pagato nemmeno il costo vivo del gasolio; ho paura che l’esperimento rimarrà tale e l’anno prossimo toccherà arrangiarsi con le poche e irregolari corse delle altre linee…
Siparietto comico all’arrivo: poiché lo spazio davanti alla stazione di Desenzano è meno che minimo, le corriere devono passarci davanti e andare a girarsi alla ventiquattresima rotonda un paio di centinaia di metri più avanti per raggiungere la piazzola di sosta sul lato opposto; non potendolo sapere, le tre tedesche salite a Padenghe vedendo sfilare via la stazione entrano in agitazione esclamando allarmate
“Stop, stop!”. “Stop, ok”, risponde serafico l’autista facendo cenno con la mano che deve fare il giro.
Desenzano, 9.15; il treno R 2617 per Verona è alle 9.49, c’è tutto il tempo di cercare la biglietteria. Già, la biglietteria, dove è finita? Di recente sono stati fatti vari lavori di ammodernamento della stazione e sembra che l’unica risorsa rimasta siano le odiose macchinette automatiche, davanti alle quali c’è già la fila (anche perché con tutte le opzioni da selezionare sono così lente che nello stesso tempo un bigliettaio umano riuscirebbe a fare almeno il doppio dei biglietti, e senza neanche affannarsi troppo). Due emettritrici con la coda, ma ce n’è un’altra meno visibile, con solo una persona, per cui mi metto in fila lì. Purtroppo l’infernale aggeggio ha qualche problema perché si rifiuta di accettare i pagamenti con carta di credito o Bancomat. Dopo che il tizio davanti a me e io abbiamo sgranato la doverosa litania di moccoli (poi dice che uno diventa luddista…) mi rassegno a mettermi in coda alla macchinetta che sembra funzionare, quando mi scappa l’occhio e, seminascosta dalla gente in fila, ecco trovata la biglietteria! Un solo operatore, rapido, efficiente, ed ecco fatto il mio biglietto per Mori, sola andata. Giusto in tempo, perché nel frattempo dev’essere arrivata un’altra corriera e dietro di me ci sono altre dieci persone in fila…
A Desenzano i binari sono all’altezza del primo piano della stazione, per cui dopo tanti lavori di ammodernamento uno si aspetterebbe un ascensore, e in effetti c’è, ma solo per il binario 2: buono per chi va a Milano, mentre per chi va a Verona non resta che incollarsi la bici su per le scale…
C’è ancora tempo per il mio treno, e ce ne sarà ancora più del previsto perché sul binario 2 si è guastato uno scambio, bloccando in stazione il treno per Milano. Per non intasare tutta la linea di treni in coda, chi gestisce il traffico ha giustamente pensato di far passare sul binario 1, in controsenso, almeno un Frecciargento e un Italo che lo seguivano, ma di conseguenza i treni da Milano devono essere fermati al più tardi a Lonato, dove i treni per Milano possono riprendere il binario giusto. Per fortuna la coincidenza a Verona è bella larga, 49 minuti…
Anche perché ormai da parecchi anni le FS hanno abolito il concetto di coincidenza (in termine tecnico, “comporto”), per cui un treno in partenza doveva aspettare quelli in arrivo per un tempo prestabilito: oggi, se arrivando con un treno se ne deve prendere un altro, riuscirci è… una coincidenza, appunto!
L’anomalia del traffico viene però gestita abbastanza bene: riparato lo scambio e partito il treno per Milano, cominciano ad arrivare a raffica i treni che aspettavano via libera in senso opposto e dopo un Frecciargento e due merci è la volta del mio Regionale, con soli 25 minuti di “gobba”. Il materiale è uno dei nuovi elettrotreni a due piani Rock a cinque casse
http://www.bicipieghevoli.net/index.php/topic,11267.0.htmlun po’ scarsino per la massa di passeggeri che si riversa a bordo; salendo sull’ultima carrozza, insieme a due tedeschi ciclomuniti, riusciamo però a trovare posto nello spazio per i passeggini (per fortuna due mamme sono appena scese). A Peschiera il treno si alleggerisce del cospicuo numero di gitanti diretti a Gardaland e così l’ultimo tratto riesco a farmelo da seduto.
A Verona arriviamo sul binario 10 con +24, quindi ne ho ancora 25 giusti giusti per trovare il mio Regionale per Bolzano. In questa stazione anni fa hanno allargato i marciapiedi ma non le scale per i sottopassaggi: la coda per scendere è una cosa mai vista, ma per fortuna ho tempo e così me ne vado a cercare l’ascensore, all’estremità opposta in corrispondenza del secondo sottopassaggio, molto meno utilizzato. Dopo una famigliola con passeggino che era già in attesa tocca a me; in teoria il mio treno dovrebbe essere sul binario 3, dove invece trovo l'Eurocity per Monaco! Rapida ricerca di un teleindicatore e vengo rimandato al binario 7: altre due corse in ascensore e un bellissimo FLIRT ETR.170 è lì che mi aspetta: salgo sulla carrozza attrezzata per PMR, appoggio la bici alla parete, mi metto comodo e apro il mio libro. Partenza in orario alle 11.06 e arrivo altrettanto in orario alle 12.00: finalmente si pedala! Un paio di stazioni prima di Mori ho approfittato dell’ampia ritirata attrezzata PMR per andare a fare i fatti miei portandomi appresso la bici e prima di scendere ho già montato la telecamerina e indossato casco e guanti.
Uscendo dalla stazione la strada già la so, perché fino al ponte sull’Adige è quella che ho percorso nelle gite Borghetto-Mori e Mori-Trento
http://www.bicipieghevoli.net/index.php/topic,11713.0.htmlAttraversato l’Adige sulla comoda passerella laterale del ponte,

si svolta quasi subito in via del Dazio

e dopo aver costeggiato per un centinaio di metri il canale artificiale svolto a destra su una breve sterrata in salita

che mi porta un po’ ansimante all’ingresso del borgo di Mori. Per fare di testa mia, ho disegnato un percorso parallelo a quello codificato, pensando di passare nel centro storico di una borgata caratteristica. Manco per idea: in via Roma

e sua prosecuzione non c’è un’anima, non un negozio, un bar, niente di niente, il paese sembra deserto. Per me è una seccatura perché durante il lungo avvicinamento mi sono già scolato quasi tutta la mia unica borraccia
(“si passa in mezzo ai paesi, ci sarà un sacco di fontanelle, no?”) e ho bisogno di rifornirmi d’acqua. Quasi uscendo dal paese l’unico segno di vita è una panetteria e la titolare è così gentile non solo da rifornirmi senza batter ciglio ma anche da indicarmi le fontanelle più vicine: una a Mori davanti alla chiesa (sul percorso indicato dove io non sono passato) e una al paese successivo, Loppio, sempre accanto alla chiesa.
Finalmente raggiungo il percorso ciclabile, che presumo ricavato sulla sede ferroviaria, e scopro che questo tratto che mi aspettavo pianeggiante è in realtà un leggero falsopiano a salire, e in più c’è il mio vecchio amico, il vento contrario. Risultato: tutti i numerosi cicloturisti di passaggio, prevalentemente teutonici, mi sorpassano in tromba, elettrici o muscolari che siano.

A Loppio mi rifornisco d’acqua e approfitto dell’ombra degli alberi per fagocitare l’unica barretta che mi sono portato “perché non si sa mai”.
Manca un quarto all’una ma sono già quasi a metà strada, per cui anche con una stima molto prudente prevedo di essere a Nago, dove conto di pranzare, non più tardi delle 13.30. Riparto di buona lena, spesso sorpassando le auto in colonna sulla statale

e poco più avanti la ciclabile si discosta di nuovo dalla strada, che corre più in alto, mentre a tradire la sua origine ferroviaria sono i muri di sostegno di pietra

e forse un piccolo casello.

Alla mia destra c’è l’alveo prosciugato del lago di Loppio, scomparso negli anni cinquanta durante i lavori della galleria di scolmo Adige-Garda, ma non ho tempo per visitare il biotopo: sarà per un’altra volta. In quest’ultimo tratto ho marciato anche più velocemente di prima, sempre sui 20 km/h, ma dopo una curva le cose si fanno serie: la rampa che porta al passo di S.Giovanni,

con i suoi 28 mm/m metteva in crisi le piccole locomotive a vapore della MAR e mette in crisi anche me, che dopo un po’ scendo e decido di farmi a piedi gli ultimi 2-300 m; come è ovvio che sia, dopo un po’ che non vedevo in giro un’anima, adesso passano tutti i ciclisti di questo mondo, tutti con le loro belle bici elettriche che sembrano sfottermi col loro ronzio… Va be’, chi se ne…
Quasi al termine della salita, dove la ferrovia svoltava a destra per iniziare un tornante verso sinistra, il percorso è deviato per la presenza del cantiere della galleria stradale Passo S.Giovanni-Cretaccio;

in teoria bisognerebbe passare sotto la statale e con un breve tratto al 15% di pendenza andare a scollinare insieme alla strada stessa.
Ma figuriamoci…
Studiando cartine e viste satellitari ho individuato la strada che secondo me ripercorre il tracciato ferroviario, che per guadagnare quota effettuava due tornanti; per cui, ecco pronta un’altra “variante Vittorio”: passo sotto la statale ma mi rivolgo verso valle e immediatamente dopo svolto a destra e riprendo la salita su una larga strada asfaltata che descrive un'ampia curva a destra, il secondo tornante, appunto. O la pendenza è minore, o il mio fiato migliore, sta di fatto che riesco a venir su agevolmente a 12 km/h, grazie anche alla buona scelta di rapporti della Espresso. Lo scollinamento è in un punto anonimo in corrispondenza di una zona industriale

e mentre mi lascio scivolare a valle senza pedalare avvisto davanti a me una strettoia sospetta

e un attimo dopo una visione che ripaga di tutta la fatica fatta: il borgo di Nago, con lo sfondo del roccione che separa Torbole e Riva e le montagne del versante destro della valle del Sarca.

Foto ricordo anche per la mia valida cavalcatura

e intanto che mi guardo intorno scopro un’altra inequivocabile traccia della ferrovia che fu: il massiccio rilevato

su cui oggi passa la strada, e il motivo della sua ridotta larghezza.

La discesa continua e dopo aver nuovamente sottopassato la statale si procede lungo la via Bertoldi, con pendenza costante, curve larghe e muri di contenimento di pietra: più ferroviario di così…

A Nago la ferrovia piegava a destra e scendeva fino ad Arco correndo a mezza costa sul fianco della vallata, ma è una strada stretta e trafficata di nessun interesse per me; io invece attraverso la statale e imbocco la discesa di via Europa,

dove in corrispondenza di una curva c’è il bar ristorante “Il Fortino”

e questo panorama.

Mentre arrivavo ero tallonato da un gruppo di tedeschi e gli
“Ooohh” di ammirazione si sprecavano.
Dite la verità, non sono tanti i posti dove stando comodamente seduti a tavola, con la bici piegata a fianco, si può godere questa vista…

Sono le 13.20 scarse, la nave parte alle 15.05 e da qui all’imbarcadero ci vorrà sì e no mezzora, posso rilassarmi e far onore alle tagliatelle con ribes e ragù di cervo.
(continua)